Pace in Terra Santa. Il patriarca di Gerusalemme ne indica la strada

A giu­di­zio del car­di­na­le Pierbattista Pizzaballa, in Terra Santa sta acca­den­do una tra­ge­dia che “è sen­za pre­ce­den­ti”. Senza pre­ce­den­ti e sen­za solu­zio­ni già scrit­te, di una gra­vi­tà uni­ca al mon­do. Perché è così immen­so il cari­co di dolo­re, di con­flit­ti, di incom­pren­sio­ni accu­mu­la­to nel tem­po che una pace vera potrà lì ger­mi­na­re “solo dopo un lun­go per­cor­so di puri­fi­ca­zio­ne del­la memo­ria”, poli­ti­ca e reli­gio­sa.

Pizzaballa, 59 anni, ber­ga­ma­sco, fra­te fran­ce­sca­no, stu­dio­so del­la Bibbia e dell’ebraismo, per dodi­ci anni custo­de del­la Terra Santa, è dal 2020 patriar­ca di Gerusalemme dei Latini. Il 10 otto­bre 2023, tre gior­ni dopo la stra­ge com­piu­ta da Hamas con più di 1200 vit­ti­me iner­mi e col seque­stro di oltre 240 per­so­ne di tut­te le età, egli offrì se stes­so in cam­bio del­la liber­tà dei bam­bi­ni pre­si in ostag­gio. Il suo nome è da anno­ta­re per un futu­ro con­cla­ve.

Il suo giu­di­zio sul­la guer­ra in cor­so a Gaza e sull’azione che la Chiesa vi può svol­ge­re l’ha espres­so nel­la “lec­tio magi­stra­lis” che ha tenu­to a Roma il 2 mag­gio nell’aula magna del­la Pontificia Università Lateranense, col tito­lo “Caratteri e cri­te­ri per una pasto­ra­le del­la pace”, come pure, più in bre­ve, nell’omelia del­la mes­sa con cui, il gior­no pre­ce­den­te, ha pre­so pos­ses­so del­la chie­sa roma­na a lui asse­gna­ta come car­di­na­le, quel­la di San’Onofrio al Gianicolo.

È una “lec­tio”, la sua, di cui è dove­ro­so tene­re con­to, tan­to è ori­gi­na­le e impe­gna­ti­va, appli­ca­ta a una situa­zio­ne per mol­ti aspet­ti inde­ci­fra­bi­le. Non c’è ana­li­si o solu­zio­ne, infat­ti, tra quel­le in cor­so per ebrei e pale­sti­ne­si, che non si rive­li irrea­liz­za­bi­le o con­trad­dit­to­ria. Anche l’opzione per i due Stati, pur con­ti­nua­men­te evo­ca­ta, allo sta­to attua­le dei fat­ti è una pura astra­zio­ne.

Alla paro­la “pace”, dice Pizzaballa, occor­re anzi­tut­to rida­re il suo signi­fi­ca­to pie­no. È “una real­tà che vie­ne da Dio e dal­la rela­zio­ne con lui”, è il “com­pi­men­to del­le pro­mes­se mes­sia­ni­che”, è la pace “annun­cia­ta da Gesù risor­to”. Quindi “ogni azio­ne pasto­ra­le del­la Chiesa, come ogni sua ope­ra socia­le, non può esser mai in nes­sun modo disgiun­ta dall’evangelizzazione”. E chi evan­ge­liz­za sa che deve “annun­cia­re la pace anche ai nemi­ci, pro­prio come fece Pietro a Cornelio, che era – e non biso­gna mai dimen­ti­car­lo di que­sti tem­pi – cen­tu­rio­ne del­le for­ze mili­ta­ri che occu­pa­va­no la sua ter­ra”.

Al fratello-nemico biso­gna anda­re incon­tro anche con la con­sa­pe­vo­lez­za del pro­prio limi­te, del­la pro­pria debo­lez­za, come Giacobbe che quan­do abbrac­ciò Esaù era zop­pi­can­te e stre­ma­to per la sua lot­ta con l’angelo, eppu­re arri­vò ad escla­ma­re: “Ho visto il tuo vol­to come si vede il vol­to di Dio” (Genesi 33,10) .

Ma oltre che real­tà divi­na, la pace è una real­tà uma­na e socia­le. Che è mol­to di più che tre­gua, armi­sti­zio, assen­za di guer­ra, per­ché “si fon­da sul­la veri­tà del­la per­so­na uma­na”. Solo “nel con­te­sto di uno svi­lup­po inte­gra­le dell’uomo, nel rispet­to dei suoi dirit­ti, può nasce­re una vera cul­tu­ra del­la pace”, con i suoi testi­mo­ni di cui “il mon­do ha quan­to mai biso­gno, anche a costo di esse­re per­se­gui­ta­ti e tac­cia­ti come uto­pi­ci e visio­na­ri. Per la pace si deve rischia­re, sem­pre. Si deve esse­re dispo­sti a per­de­re l’onore, a mori­re come Gesù”.

Di con­se­guen­za, “il nostro sta­re in Terra Santa come cre­den­ti non può rin­chiu­der­si in inti­mi­smo devo­zio­na­le, né può limi­tar­si sola­men­te al ser­vi­zio del­la cari­tà per i più pove­ri, ma è anche ‘par­re­sìa’” (cfr. Giovanni 16,8–11), cioè “capa­ci­tà di ascol­ta­re tut­te le voci, ma anche di giu­di­ca­re cri­ti­ca­men­te e pro­fe­ti­ca­men­te il pre­sen­te”.

Da qui nasce, a giu­di­zio di Pizzaballa, una “respon­sa­bi­li­tà essen­zia­le” per le lea­der­ship reli­gio­se in Medio Oriente, tut­te, quel­la di saper orien­ta­re e gui­da­re le comu­ni­tà: “Invece di esse­re il sup­por­to reli­gio­so di regi­mi poli­ti­ci poco cre­di­bi­li, la lea­der­ship reli­gio­sa dovreb­be diven­ta­re una voce libe­ra e pro­fe­ti­ca di giu­sti­zia, dirit­ti uma­ni e pace”.

La fede reli­gio­sa, infat­ti, “ha un ruo­lo fon­da­men­ta­le nel ripen­sa­men­to del­le cate­go­rie del­la sto­ria, del­la memo­ria, del­la col­pa, del­la giu­sti­zia, del per­do­no, che pon­go­no in con­tat­to diret­ta­men­te la sfe­ra reli­gio­sa con quel­la mora­le, socia­le e poli­ti­ca. Non si supe­re­ran­no i con­flit­ti inter­cul­tu­ra­li se non si rileg­go­no e si redi­mo­no le let­tu­re diver­se e anti­te­ti­che del­le pro­prie sto­rie reli­gio­se, cul­tu­ra­li e iden­ti­ta­rie”.

E que­sto “anche a costo di paga­re un prez­zo alto in ter­mi­ni di soli­tu­di­ne, incom­pren­sio­ni e rifiu­to”.

È un com­pi­to, que­sto, che tut­ta­via è anco­ra da costrui­re. Perché – dice Pizzaballa – “un gran­de assen­te in que­sta guer­ra” è pro­prio la paro­la dei lea­der reli­gio­si. “Con poche ecce­zio­ni, da loro non si sono sen­ti­ti in que­sti mesi discor­si, rifles­sio­ni, pre­ghie­re diver­si da quel­li di qual­sia­si altro lea­der poli­ti­co o socia­le”. O peg­gio, pro­prio “dai lea­der reli­gio­si loca­li si è par­la­ta una lin­gua esat­ta­men­te con­tra­ria a quel­la di chi par­la­va di pace”.

Anche il dia­lo­go inter­re­li­gio­so tra cri­stia­ni, musul­ma­ni ed ebrei deve quin­di var­ca­re uno spar­tiac­que: “non potrà più esse­re come pri­ma”.

Né come lo è oggi: “Il mon­do ebrai­co non si è sen­ti­to soste­nu­to da par­te dei cri­stia­ni e lo ha espres­so in manie­ra chia­ra. I cri­stia­ni a loro vol­ta, divi­si come sem­pre su tut­to, inca­pa­ci di una paro­la comu­ne, si sono distin­ti se non divi­si sul soste­gno a una par­te o all’altra, oppu­re incer­ti e diso­rien­ta­ti. I musul­ma­ni si sen­to­no attac­ca­ti, e rite­nu­ti con­ni­ven­ti con gli ecci­di com­mes­si il 7 otto­bre. Insomma, dopo anni di dia­lo­go inter­re­li­gio­so, ci sia­mo ritro­va­ti a non inten­der­ci l’un l’altro. È per me, per­so­nal­men­te, un gran­de dolo­re, ma anche una gran­de lezio­ne”.

La stra­da alter­na­ti­va che il patriar­ca di Gerusalemme dei Latini invi­ta a per­cor­re­re è “un per­cor­so di puri­fi­ca­zio­ne del­la memo­ria”, nel qua­le “la pace è stret­ta­men­te lega­ta al per­do­no”.

“Le feri­te, se non sono cura­te, crea­no un atteg­gia­men­to di vit­ti­mi­smo e di rab­bia, che ren­do­no dif­fi­ci­le, se non impos­si­bi­le, la ricon­ci­lia­zio­ne. Finché da par­te di tut­ti non vi sarà una puri­fi­ca­zio­ne del­la comu­ne memo­ria, fino a che non ci sarà un reci­pro­co rico­no­sci­men­to del male reci­pro­ca­men­te com­mes­so e subì­to, fino a che, insom­ma, non vi sarà una rilet­tu­ra del­le pro­prie rela­zio­ni sto­ri­che, le feri­te del pas­sa­to con­ti­nue­ran­no ad esse­re un baga­glio da por­ta­re sul­le pro­prie spal­le e un cri­te­rio di let­tu­ra del­le rela­zio­ni reci­pro­che”.

Se infat­ti, dice Pizzaballa, “tut­ti gli accor­di di pace in Terra Santa, fino­ra, sono di fat­to fal­li­ti”, è pro­prio per­ché “pre­su­me­va­no di risol­ve­re anni di tra­ge­die sen­za tene­re in con­si­de­ra­zio­ne l’enorme cari­co di feri­te, dolo­re, ran­co­re, rab­bia che anco­ra cova­va e che in que­sti mesi è esplo­so in manie­ra estre­ma­men­te vio­len­ta”.

Al con­tra­rio, inve­ce, l’azione del­la Chiesa sarà tan­to più vali­da quan­to più saprà “tra­sfor­ma­re in resur­re­zio­ne” la pro­po­sta di per­do­no e ricon­ci­lia­zio­ne. “Senza que­sta pro­spet­ti­va, in Terra Santa nes­sun pro­get­to poli­ti­co potrà ave­re suc­ces­so, e la pace reste­reb­be solo uno slo­gan poco cre­di­bi­le”.

Sono due le paro­le chia­ve da asso­cia­re al per­do­no, dice Pizzaballa: “veri­tà” e “giu­sti­zia”.

Certo, va rico­no­sciu­to che “da decen­ni in Terra Santa sus­si­ste l’occupazione israe­lia­na dei ter­ri­to­ri del­la Cisgiordania”, con il con­se­guen­te non rico­no­sci­men­to di dirit­ti basi­la­ri per la popo­la­zio­ne pale­sti­ne­se in Cisgiordania. Questa “ogget­ti­va situa­zio­ne di ingiu­sti­zia” è una veri­tà che va det­ta.

E d’altra par­te, a sua vol­ta, l’israeliano può chie­de­re: “Come pos­so per­do­na­re chi ucci­de la mia gen­te in manie­ra così bar­ba­ra?”. Anche die­tro que­sta doman­da vi è un dolo­re “vero”, da rispet­ta­re.

Sono doman­de che ren­do­no dif­fi­ci­le “la comu­nio­ne tra i cat­to­li­ci pale­sti­ne­si e israe­lia­ni, in que­sto con­te­sto lace­ra­to e pola­riz­za­to”. E sono le stes­se doman­de che il patriar­ca di Gerusalemme dei lati­ni si sen­te por­re ogni gior­no. A pro­po­si­to del­le qua­li ha scrit­to in una let­te­ra di pochi mesi fa ai suoi fede­li:

“Ci vuo­le corag­gio per esse­re capa­ci di chie­de­re giu­sti­zia sen­za spar­ge­re odio. Ci vuo­le corag­gio per doman­da­re mise­ri­cor­dia, rifiu­ta­re l’oppressione, pro­muo­ve­re ugua­glian­za sen­za pre­ten­de­re l’uniformità, man­te­nen­do­si libe­ri. Ci vuo­le corag­gio oggi, anche nel­la nostra dio­ce­si e nel­le nostre comu­ni­tà, per man­te­ne­re l’unità, sen­tir­si uni­ti l’uno all’altro, pur nel­le diver­si­tà del­le nostre opi­nio­ni, del­le nostre sen­si­bi­li­tà e visio­ni”.

L’importante, dice Pizzaballa, è capi­re che “il per­do­no, da solo, non può costrui­re la pace. Verità e giu­sti­zia, da sole, non pos­so­no costrui­re la pace”.

“È neces­sa­rio, dun­que, che la pasto­ra­le eccle­sia­le sap­pia por­re que­sti tre ele­men­ti in con­ti­nuo, dif­fi­ci­le, dolo­ro­so, com­ples­so, lace­ran­te, fati­co­so dia­lo­go tra loro. Ma è un pro­ces­so frut­ti­fe­ro e rispet­to­so di Dio e dell’uomo, e costrut­to­re, poco alla vol­ta, nei tem­pi che non pos­se­dia­mo, di pro­spet­ti­ve di pace. Perché ciò che sostie­ne que­sti tre modi di sta­re nel­la vita e le rela­zio­ni tra noi non è una ideo­lo­gia, ma è l’amore. ‘L’amore di Dio è sta­to river­sa­to nei nostri cuo­ri per mez­zo del­lo Spirito Santo che ci è sta­to dato’ (Romani 5,5 ). È quell’amore l’anima del nostro desi­de­rio di pace. Niente altro”.

In con­clu­sio­ne, per Pizzaballa “la pasto­ra­le del­la pace nel­la Chiesa non con­si­ste in null’altro che esse­re sem­pli­ce­men­te Chiesa”. Non biso­gna cede­re, dice, alla “faci­le ten­ta­zio­ne” di sup­pli­re alla debo­lez­za degli orga­ni­smi inter­na­zio­na­li e dei pote­ri loca­li nel costrui­re la pace, sosti­tuen­do­si ad essi “in dina­mi­che di nego­zia­zio­ni poli­ti­che”.

“Non è que­sto il com­pi­to del­la Chiesa. La pasto­ra­le del­la pace ha solo il Vangelo come rife­ri­men­to. I carat­te­ri e i cri­te­ri per costrui­re la pace si tro­va­no tut­ti li. Da li si deve par­ti­re e li si deve tor­na­re sem­pre. E il con­tri­bu­to che pos­sia­mo por­ta­re alla vita socia­le del­la nostra tra­va­glia­ta dio­ce­si di Gerusalemme con­si­ste nel crea­re nel­la comu­ni­tà il desi­de­rio, la dispo­si­zio­ne e l’impegno sin­ce­ro, lea­le, posi­ti­vo e con­cre­to di incon­tro con l’altro, nel saper­lo ama­re nono­stan­te tut­to, nell’aiutare ad inter­pre­ta­re il pro­prio dolo­re alla luce del­la fede, a sape­re fare uni­tà tra fede e vita. Partendo dall’ascolto del­la Parola di Dio, che è la fon­te prin­ci­pa­le di ogni cri­te­rio di inter­pre­ta­zio­ne del­la nostra real­tà di vita”.

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Il testo inte­gra­le del­la “lec­tio” del car­di­na­le Pierbattista Pizzaballa è nel sito web del patriar­ca­to di Gerusalemme dei Latini:

> Caratteri e cri­te­ri per una pasto­ra­le del­la pace

Il 1 mag­gio, inter­ro­ga­to dai gior­na­li­sti al ter­mi­ne del­la mes­sa cele­bra­ta nel­la chie­sa roma­na di San’Onofrio, Pizzaballa ha così rispo­sto, riguar­do alle pro­te­ste pro Hamas e con­tro Israele nel­le uni­ver­si­tà:

“Confesso che fati­co a capir­le. Le uni­ver­si­tà sono luo­ghi dove l’impegno cul­tu­ra­le, anche acce­so, anche duro, deve esse­re aper­to a 360 gra­di, dove l’impegno con idee for­ti e anche com­ple­ta­men­te diver­se deve espri­mer­si non con la vio­len­za, non con il boi­cot­tag­gio, ma sapen­do come impe­gnar­si. Il mon­do è fat­to di opi­nio­ni diver­se che devo­no tra­dur­si in impe­gno comu­ne, non esclu­den­do, ma ragio­nan­do”.

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Sandro Magister è fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
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