Peggio di un papa re. Uno storico e una canonista analizzano il malgoverno di Francesco

Tra pochi gior­ni il tri­bu­na­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano emet­te­rà la sen­ten­za fina­le di quel­lo che è sta­to chia­ma­to il “pro­ces­so del seco­lo”, tra i cui impu­ta­ti c’è anche un car­di­na­le, Giovanni Angelo Becciu, che è sta­to fino al 2018 tra i più stret­ti col­la­bo­ra­to­ri di papa Francesco con la cari­ca chia­ve di sosti­tu­to segre­ta­rio di Stato, pri­ma di cade­re in disgra­zia.

Fino all’a­pri­le del 2021 un car­di­na­le pote­va esse­re giu­di­ca­to sol­tan­to dal papa. Francesco ha can­cel­la­to que­sta riser­va, ma a suo modo ha ugual­men­te sot­to­po­sto Becciu al pro­prio per­so­na­le giu­di­zio e alla con­se­guen­te con­dan­na: il tut­to in una sola udien­za di ven­ti minu­ti a tu per tu e a por­te chiu­se, nel pome­rig­gio del 24 set­tem­bre 2020, al ter­mi­ne del­la qua­le il pre­sun­to reo, pur con­ser­van­do la por­po­ra, si tro­vò spo­glia­to di ogni sua cari­ca e sen­za più i “dirit­ti con­nes­si al car­di­na­la­to”, com­pre­so quel­lo di par­te­ci­pa­re a un con­cla­ve.

Sino ad oggi Francesco non ha mai det­to le ragio­ni di que­sta con­dan­na, da lui emes­sa sen­za nep­pu­re la par­ven­za di un pro­ces­so, né tan­to meno con la pos­si­bi­li­tà per l’imputato di difen­der­si. Non solo. Ha pro­mos­so per vie obli­que anche l’avvio di un pro­ces­so giu­di­zia­rio vero e pro­prio da par­te del tri­bu­na­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano, sem­pre con Becciu tra gli impu­ta­ti. È il pro­ces­so che, ini­zia­to il 27 luglio 2021, sta ora per ter­mi­na­re, e sul cui svol­gi­men­to Francesco non ha man­ca­to di inter­ve­ni­re più vol­te cam­bian­do­ne arbi­tra­ria­men­te le rego­le in cor­so d’opera, con al suo doci­le ser­vi­zio il pro­mo­to­re di giu­sti­zia Alessandro Diddi nel ruo­lo di pub­bli­co accu­sa­to­re.

Non stu­pi­sce che que­ste con­ti­nue vio­la­zio­ni da par­te di Francesco del­le mini­me rego­le di uno sta­to di dirit­to abbia­no assi­mi­la­to la sua for­ma di gover­no a quel­la di una monar­chia asso­lu­ta spin­ta all’estremo, sen­za con­ta­re tut­ti gli altri atti d’imperio “extra legem” com­piu­ti duran­te il suo pon­ti­fi­ca­to, da ulti­mo la ven­di­ca­ti­va pri­va­zio­ne di un altro car­di­na­le, lo sta­tu­ni­ten­se Raymond L. Burke, di casa e sti­pen­dio.

Il 13 mag­gio del 2023 Francesco ha inol­tre pub­bli­ca­to una nuo­va leg­ge fon­da­men­ta­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano che esor­di­sce attri­buen­do al papa “pote­ri sovra­ni” su que­sto minu­sco­lo Stato, e que­sto pro­prio “in for­za del ‘munus petri­no’”. Mai, in pas­sa­to, nem­me­no nei seco­li del “papa re”, si era osa­to far deri­va­re dal pri­ma­to reli­gio­so con­fe­ri­to da Gesù a Pietro e ai suoi suc­ces­so­ri un pote­re anche tem­po­ra­le. Dal che sor­ge natu­ra­le la doman­da: per­ché Francesco si è spin­to oltre que­sto limi­te? E qual è inve­ce il limi­te, se c’è, alla “ple­ni­tu­do pote­sta­tis” di un papa?

A que­ste doman­de cru­cia­li han­no rispo­sto nei gior­ni scor­si, per vie diver­se, un illu­stre sto­ri­co del cri­stia­ne­si­mo e una rino­ma­ta esper­ta di dirit­to cano­ni­co.

*

Lo sto­ri­co è Alberto Melloni, docen­te all’Università di Modena e Reggio Emilia ed espo­nen­te di pun­ta di quel­la “scuo­la di Bologna” famo­sa per una rilet­tu­ra mar­ca­ta­men­te “pro­gres­si­sta” del Concilio Vaticano II.

In un sag­gio pub­bli­ca­to il 4 dicem­bre sul­la rivi­sta “il Mulino”, Melloni defi­ni­sce “quan­to meno auda­ce” la tesi codi­fi­ca­ta dal­la nuo­va leg­ge fon­da­men­ta­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano, e “spe­ri­co­la­to” il cano­ni­sta che l’ha scrit­ta e fat­ta fir­ma­re del papa.

Melloni non fa nomi, ma è ormai risa­pu­to che è il gesui­ta e car­di­na­le Gianfranco Ghirlanda lo “sher­pa” che coa­diu­va il papa nel tra­scri­ve­re in codi­cil­li i suoi vole­ri.

E que­sta vol­ta, a giu­di­zio di Melloni, è pro­prio il pro­ces­so con­tro il car­di­na­le Becciu all’origine di que­sta esten­sio­ne del­la pote­stà del papa anche al gover­no tem­po­ra­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano.

In for­za di que­sta esten­sio­ne, infat­ti – scri­ve Melloni –, l’accusa e l’eventuale con­dan­na di Becciu non sareb­be­ro for­mu­la­te “a nome del papa in quan­to pasto­re del­la Chiesa uni­ver­sa­le, ma a nome del capo di Stato del­la Città del Vaticano”. Con l’effetto di “eso­ne­ra­re il pon­te­fi­ce dal­le con­se­guen­ze di un pro­ces­so dal qua­le, comun­que vada, la Chiesa non usci­rà più umi­le, ma più umi­lia­ta”.

Da sto­ri­co qual è, Melloni ricor­da un pre­ce­den­te: quel­lo in cui “fra il 1557 e il 1559 papa Paolo IV Carafa inqui­sì, arre­stò, chiu­se a Castel Sant’Angelo e man­dò sot­to pro­ces­so il car­di­na­le Giovanni Morone, cor­reg­gen­do le nor­me a suo sfa­vo­re”. Con meto­di “immo­ra­li” ana­lo­ghi a quel­li adot­ta­ti oggi.

Morone fu poi ria­bi­li­ta­to dal suc­ces­si­vo papa, Pio IV. Di Becciu non si sa. Se sarà assol­to, come è pos­si­bi­le vista l’incapacità dell’accusa di pro­dur­re pro­ve dei suoi pre­sun­ti misfat­ti, toc­che­rà allo stes­so Francesco rico­no­sce­re d’aver abu­sa­to dei pro­pri pote­ri.

*

A rispon­de­re all’altra doman­da, più gene­ra­le, se cioè c’è un limi­te alla “ple­ni­tu­do pote­sta­tis” di un papa, è la gran­de cano­ni­sta Geraldina Boni, ordi­na­rio di dirit­to eccle­sia­sti­co e di sto­ria del dirit­to cano­ni­co all’Università di Bologna e nomi­na­ta da Benedetto XVI nel 2011 con­su­len­te del pon­ti­fi­cio con­si­glio per i testi legi­sla­ti­vi.

In un sag­gio in due pun­ta­te pub­bli­ca­te il 5 e 6 dicem­bre su “La Nuova Bussola Quotidiana”, Boni esor­di­sce citan­do le paro­le impec­ca­bi­li pro­nun­cia­te dal­lo stes­so papa Francesco il 17 otto­bre 2015: “Il papa non sta, da solo, al di sopra del­la Chiesa; ma den­tro di essa come bat­tez­za­to tra i bat­tez­za­ti e den­tro il col­le­gio epi­sco­pa­le come vesco­vo tra i vesco­vi, chia­ma­to al con­tem­po – come suc­ces­so­re dell’apostolo Pietro – a gui­da­re la Chiesa di Roma che pre­sie­de nell’amore tut­te le Chiese”.

Nemmeno nei seco­li di mag­gio­re accen­tra­men­to dei pote­ri pon­ti­fi­ci – fa nota­re Boni – è mai venu­ta meno la “gra­ni­ti­ca con­sa­pe­vo­lez­za che la pote­stà del suc­ces­so­re di Pietro è cer­ta­men­te supre­ma, ma non affat­to asso­lu­ta”, né tan­to meno arbi­tra­ria. Questo per­ché la pote­stà del papa ha comun­que il suo limi­te inva­li­ca­bi­le nel­la “oboe­dien­tia fidei” ed è quin­di come “recin­ta­ta” dal dirit­to divi­no, sia natu­ra­le che rive­la­to.

Poi però – scri­ve – occor­re riem­pi­re tale asser­zio­ne di con­te­nu­ti con­cre­ti, come è sta­to fat­to nei seco­li dal­la Chiesa.

In pri­mo luo­go, l’affermazione che il papa è “legi­bus solu­tus”, sciol­to dal­le leg­gi, è sta­ta sem­pre inte­sa esclu­si­va­men­te nel sen­so che egli è al di sopra del dirit­to posi­ti­vo, cioè del­le leg­gi di pro­du­zio­ne uma­na – alle qua­li resta comun­que ordi­na­ria­men­te sog­get­to –, ma non è cer­to libe­ro dal­la leg­ge divi­na.

Di con­se­guen­za, “le esi­gen­ze pro­ma­nan­ti dal dirit­to divi­no natu­ra­le non pos­so­no esse­re com­pres­se o mor­ti­fi­ca­te”. È quin­di inam­mis­si­bi­le che un papa, nell’esercizio dei suoi pote­ri, “cal­pe­sti e con­cul­chi i dirit­ti cor­re­la­ti alla digni­tà del­la per­so­na uma­na: ad esem­pio, il dirit­to alla vita, all’intimità e alla riser­va­tez­za o alla buo­na fama, ma anche – per rife­rir­ci a un ambi­to deli­ca­to, oggi sot­to i riflet­to­ri nel­la Chiesa – il dirit­to di dife­sa in un giu­sto pro­ces­so, la pre­sun­zio­ne di inno­cen­za, la tute­la di pre­e­si­sten­ti dirit­ti acqui­si­ti, non esclu­so quel­lo di non esse­re puni­to per un delit­to pre­scrit­to”.

Inoltre, ha “cru­cia­le impor­tan­za il rispet­to, anche da per­te di quel legi­sla­to­re supre­mo che è il papa, del­la lega­li­tà ‘in legi­fe­ran­do’”, cioè nel­la pro­du­zio­ne del­le nor­me.

Perché inve­ce – denun­cia Boni – da alcu­ni anni sta acca­den­do trop­po spes­so il con­tra­rio. In Vaticano si assi­ste a “un sovrap­por­si fre­ne­ti­co, allu­vio­na­le e cao­ti­co di leg­gi, ovve­ro di pre­cet­ti scan­di­ti sen­za un’appropriata tec­ni­ca nor­ma­ti­va, di cui nebu­lo­si appa­io­no il ran­go e la por­ta­ta giu­ri­di­ca”. Come pure si mol­ti­pli­ca­no prov­ve­di­men­ti appro­va­ti volu­ta­men­te dal papa in una for­ma tale da ren­de­re impos­si­bi­le un ricor­so, nep­pu­re quan­do tali prov­ve­di­men­ti sia­no lesi­vi di dirit­ti.

“Tutto ciò va cen­su­ra­to – scri­ve Boni – non per un acca­de­mi­co gusto di geo­me­trie astrat­te”, ma per ragio­ni dram­ma­ti­ca­men­te più sostan­zia­li. “Al di là dei peri­co­li per il patri­mo­nio stes­so del­la fede, è soprat­tut­to la car­ne viva del­le per­so­ne ad esse­re afflit­ta e lace­ra­ta là dove le nor­me risul­ti­no irra­gio­ne­vo­li, met­ten­do così gra­ve­men­te a repen­ta­glio quel­la giu­sti­zia che per dirit­to divi­no ad essi è dovu­ta, e al cui ser­vi­zio è posta l’autorità eccle­sia­sti­ca, anche quel­la pri­ma­zia­le”.

Insomma, nell’enumerare i limi­ti del­la pote­stà del papa, ciò su cui “occor­re insi­ste­re posi­ti­va­men­te e costrut­ti­va­men­te” è “il buon gover­no del­la socie­tà eccle­sia­le”, del­la cui uni­tà “il roma­no pon­te­fi­ce, qua­le suc­ces­so­re di Pietro, è il per­pe­tuo e visi­bi­le prin­ci­pio e fon­da­men­to” (“Lumen gen­tium”, 23).

Un buon gover­no, direm­mo noi, che è di là da veni­re.

———-

Sandro Magister è fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
Questo è l’attuale indi­riz­zo del suo blog Settimo Cielo, con gli ulti­mi arti­co­li in lin­gua ita­lia­na: settimocielo.be
Ma di Settimo Cielo è con­sul­ta­bi­le anche l’intero archi­vio, anno per anno e in più lin­gue:
> 2024–2023-2022–2021-2020–2019-2018–2017
Come pure l’indice com­ple­to del blog www.chiesa che l’ha pre­ce­du­to:
> 2016–2015-2014–2013-2012–2011-2010–2009-2008–2007-2006–2005-2004–2003-2002

Share Button
Cet article a été posté dans  Italiano.  Ajoutez le permalien à vos favoris.