“Summa iniuria”. Il disastro della giustizia vaticana, regnante papa Francesco

“Bisogna ave­re corag­gio men­tre si è impe­gna­ti per assi­cu­ra­re il giu­sto svol­gi­men­to dei pro­ces­si e si è sot­to­po­sti a cri­ti­che”, ha det­to lo scor­so 2 mar­zo papa Francesco nell’inau­gu­ra­re il nuo­vo anno giu­di­zia­rio del tri­bu­na­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano.

Perché le cri­ti­che dav­ve­ro non sono man­ca­te, anzi, in que­sti gior­ni di mar­zo sono pio­vu­te come un dilu­vio, e da par­te di giu­ri­sti e cano­ni­sti dei più auto­re­vo­li, secon­do i qua­li in quel­lo che è sta­to deno­mi­na­to in Vaticano il “pro­ces­so del seco­lo” – la cui pri­ma tor­na­ta è fini­ta a dicem­bre con una raf­fi­ca di con­dan­ne tra cui per la pri­ma vol­ta quel­la di un car­di­na­le – “non solo non è sta­to garan­ti­to il giu­sto pro­ces­so, ma si sono per­pe­tra­te vio­la­zio­ni gra­vis­si­me del dirit­to, per­si­no di quel­lo divi­no”.

L’ultimo di que­sti inter­ven­ti cri­ti­ci è un impo­nen­te sag­gio di 180 pagi­ne pub­bli­ca­to oggi su “Stato, Chiese e plu­ra­li­smo con­fes­sio­na­le” (una rivi­sta spe­cia­li­sti­ca i cui sin­go­li arti­co­li sono pre­via­men­te sot­to­po­sti alla valu­ta­zio­ne di esper­ti) col tito­lo “Il ‘pro­ces­so del seco­lo’ in Vaticano e le vio­la­zio­ni dei dirit­ti”, a fir­ma di Geraldina Boni, docen­te di dirit­to eccle­sia­sti­co e cano­ni­co all’Università di Bologna e dal 2011 con­su­len­te del pon­ti­fi­cio con­si­glio per i testi legi­sla­ti­vi.

Il sag­gio è offer­to alla let­tu­ra di tut­ti nel sito del­la rivi­sta. Ma per avver­tir­ne fin da subi­to l’origine e la por­ta­ta, è uti­le leg­ge­re la “Annotazione pre­li­mi­na­re” con cui la pro­fes­so­res­sa Boni lo intro­du­ce, ripro­dot­ta qui di segui­to:

“Questo lavo­ro nasce come pare­re ‘pro veri­ta­te’ a soste­gno dell’appello alla sen­ten­za del Tribunale vati­ca­no, data­ta 16 dicem­bre 2023, pre­di­spo­sto dagli avvo­ca­ti Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, che patro­ci­na­no il car­di­na­le Giovanni Angelo Becciu.

“È sta­ta Sua Eminenza a con­tat­tar­mi per­so­nal­men­te e a sol­le­ci­tar­mi affin­ché assu­mes­si que­sto inca­ri­co. Ma, dopo aver let­to tut­ti gli atti pro­ces­sua­li, a spin­ger­mi a tale impe­gno non è sta­ta la reve­ren­za nei con­fron­ti del car­di­na­le (che peral­tro non ho mai incon­tra­to), e nep­pu­re la con­vin­zio­ne pro­gres­si­va­men­te da me matu­ra­ta del­la sua tota­le inno­cen­za: ma la pre­oc­cu­pa­zio­ne per la giu­sti­zia, quel­la stes­sa che mi spin­ge alla pub­bli­ca­zio­ne.

“Per que­sto dedi­co il pre­sen­te lavo­ro – nel­la cui ste­su­ra mi han­no vali­da­men­te affian­ca­to Manuel Ganarin e Alberto Tomer – al mio mae­stro, il pro­fes­sor Giuseppe Dalla Torre e al caro pro­fes­sor Piero Antonio Bonnet, a lun­go pre­si­den­te, il pri­mo, e giu­di­ce, il secon­do, del Tribunale vati­ca­no, col­pi­ti entram­bi da una mor­te pre­co­ce: che pur li ha pre­ser­va­ti dall’assistere a vicen­de pro­ces­sua­li che li avreb­be­ro ama­reg­gia­ti.

“Non ci si inol­tre­rà in alcun modo in que­stio­ni sul meri­to del­le accu­se: la dife­sa pre­di­spo­sta dagli avvo­ca­ti con­te­sta det­ta­glia­ta­men­te ed eccel­len­te­men­te tut­te le impu­ta­zio­ni adde­bi­ta­te al car­di­na­le Becciu. Le ragio­ni di dirit­to svi­lup­pa­te, tut­ta­via, pre­sup­pon­go­no e si basa­no sugli atti pro­ces­sua­li, come non può non esse­re: arri­van­do a con­clu­sio­ni che infi­cia­no radi­cal­men­te la vali­di­tà di que­sto pro­ces­so”.

*

Ma già un paio di set­ti­ma­ne pri­ma del sag­gio di Geraldina Boni è usci­to, sem­pre su “Stato, Chiese e plu­ra­li­smo con­fes­sio­na­le”, un altro inter­ven­to cri­ti­co, anch’esso mol­to seve­ro, del siste­ma giu­di­zia­rio vati­ca­no visto all’opera nel cosid­det­to “pro­ces­so del seco­lo”.

Il tito­lo è “Osservazioni sul pro­ces­so vati­ca­no con­tro il car­di­na­le Becciu e altri impu­ta­ti”. E l’autore è Paolo Cavana, pro­fes­so­re di dirit­to cano­ni­co ed eccle­sia­sti­co alla Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma e anche lui disce­po­lo di Giuseppe Dalla Torre. Il suo inten­to dichia­ra­to è di espor­re “alcu­ne osser­va­zio­ni del pun­to di vista stret­ta­men­te giu­ri­di­co” riguar­dan­ti i prin­ci­pi di dirit­to inter­na­zio­na­le ai qua­li la Santa Sede ha ade­ri­to, ma risul­ta­ti gra­ve­men­te con­trad­det­ti nel­lo svol­gi­men­to del pro­ces­so.

L’esito fina­le dell’analisi è una boc­cia­tu­ra sen­za appel­lo. E vale riper­cor­rer­ne qui i pas­sag­gi.

I prin­ci­pi di dirit­to inter­na­zio­na­le assun­ti dal pro­fes­sor Cavana come misu­ra del­la valu­ta­zio­ne sono prin­ci­pal­men­te quel­li del­la Convenzione euro­pea per la sal­va­guar­dia dei dirit­ti dell’uomo, ai qua­li la Santa Sede ha ade­ri­to nel 2009 fir­man­do con l’Unione euro­pea la con­ven­zio­ne mone­ta­ria che l’autorizzava ad adot­ta­re l’euro come mone­ta uffi­cia­le, e pri­ma anco­ra quel­li da essa fat­ti pro­pri con la fir­ma nel 1975 dell’Atto fina­le del­la con­fe­ren­za di Helsinki, che a sua vol­ta riman­da­va alla Dichiarazione uni­ver­sa­le dei dirit­ti dell’uomo.

A chi obiet­ta che “pri­ma sedes a nemi­ne iudi­ca­tur”, ossia che il papa “non è giu­di­ca­to da nes­su­no” (cano­ne 1404 del Codice di dirit­to cano­ni­co), Cavana repli­ca che tale prin­ci­pio “è da rite­ner­si com­piu­ta­men­te vigen­te solo nell’ambito del­le pre­ro­ga­ti­ve spi­ri­tua­li e disci­pli­na­ri, divi­na­men­te fon­da­te, pro­prie del pon­te­fi­ce in quan­to capo del­la Chiesa cat­to­li­ca”, ma non nel­la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le, dove egli gode uni­ca­men­te “del­le immu­ni­tà per­so­na­li pro­prie di un capo di Stato come pure di quel­le rico­no­sciu­te alla Santa Sede”.

E nem­me­no vale far leva sul­la pote­stà asso­lu­ta di gover­no, sia legi­sla­ti­va che ese­cu­ti­va che giu­di­zia­ria, attri­bui­ta al papa “in for­za del ‘munus’ petri­no anche sul­lo Stato del­la Città del Vaticano”, come reci­ta il pre­am­bo­lo del­la Legge fon­da­men­ta­le di tale Stato, ema­na­ta da Francesco lo scor­so 13 mag­gio.

Cavana obiet­ta che “la pre­te­sa di man­te­ne­re immu­ta­ti anche in ambi­to tem­po­ra­le gli attri­bu­ti e le pote­stà che al papa com­pe­to­no in for­za del­la sua sovra­ni­tà spi­ri­tua­le di ori­gi­ne divi­na, dan­do vita a una for­ma di Stato teo­cra­ti­co e asso­lu­ti­sta, ha com­por­ta­to nel­la sto­ria un prez­zo altis­si­mo per la Chiesa e per la sua mis­sio­ne di evan­ge­liz­za­zio­ne, che non a caso ha indot­to i pon­te­fi­ci, dal Concilio Vaticano II in poi, a vede­re nel­la fine del pote­re tem­po­ra­le dei papi un even­to prov­vi­den­zia­le. […] In ogni caso, una simi­le con­ce­zio­ne asso­lu­ti­sta del pote­re del papa in ambi­to tem­po­ra­le, risa­len­te a un con­te­sto sto­ri­co ed eccle­sia­le assai diver­so dall’attuale, appa­re oggi incom­pa­ti­bi­le con i prin­ci­pi, sot­to­scrit­ti anche dal­la Santa Sede, del­lo sta­to di dirit­to o ‘rule of law’ e, in ambi­to giu­di­zia­rio, con quel­li del giu­sto pro­ces­so”.

Sono due, in par­ti­co­la­re, i pun­ti del siste­ma giu­di­zia­rio vati­ca­no su cui più si con­cen­tra la cri­ti­ca del pro­fes­sor Cavana.

Il pri­mo ha a che fare con l’indipendenza dei giu­di­ci, “a moti­vo del carat­te­re per­va­si­vo dei pote­ri del pon­te­fi­ce”.

Scrive Cavana:

“Al riguar­do la legi­sla­zio­ne vigen­te del­lo Stato del­la Città del Vaticano pre­ve­de che i magi­stra­ti dipen­do­no gerar­chi­ca­men­te dal som­mo pon­te­fi­ce, che li nomi­na libe­ra­men­te, desi­gnan­do cia­scu­no al pro­prio uffi­cio, e può revo­car­li ‘ad libi­tum’: non godo­no quin­di del­la così det­ta ina­mo­vi­bi­li­tà, che costi­tui­sce una garan­zia di indi­pen­den­za ampia­men­te rece­pi­ta negli ordi­na­men­ti con­tem­po­ra­nei.

“Inoltre, pri­ma di assu­me­re le loro fun­zio­ni, tut­ti i magi­stra­ti vati­ca­ni sono tenu­ti a pre­sta­re giu­ra­men­to con la seguen­te for­mu­la: ‘Giuro di esse­re fede­le e obbe­dien­te al som­mo pon­te­fi­ce’. Infine, con dispo­si­zio­ne risa­len­te al 1929 e sem­pre con­fer­ma­ta, la legi­sla­zio­ne vati­ca­na tut­to­ra pre­ve­de che ‘il som­mo pon­te­fi­ce, in qua­lun­que cau­sa civi­le o pena­le e in qual­sia­si sta­to del­la mede­si­ma, può defe­rir­ne l’istruttoria e la deci­sio­ne ad una par­ti­co­la­re istan­za’ (art. 21, secon­do com­ma, Legge fon­da­men­ta­le del­lo Stato del­la Città del Vaticano), in poten­zia­le con­tra­sto con il prin­ci­pio del ‘tri­bu­na­le indi­pen­den­te e impar­zia­le costi­tui­to per leg­ge’ (art. 6, Convenzione euro­pea per la sal­va­guar­dia dei dirit­ti dell’uomo).

“Sul pia­no nor­ma­ti­vo vi sono quin­di una serie di ele­men­ti che potreb­be­ro far dubi­ta­re dell’effettiva indi­pen­den­za dei giu­di­ci vati­ca­ni rispet­to al pote­re sovra­no. D’altra par­te occor­re rico­no­sce­re che fino al pon­ti­fi­ca­to di Benedetto XVI, e per pras­si costan­te, il sog­get­to sovra­no, ossia il pon­te­fi­ce, non era mai inter­ve­nu­to nell’ambito di pro­ces­si in cor­so davan­ti ai giu­di­ci vati­ca­ni, né risul­ta abbia mai eser­ci­ta­to quel­le facol­tà spe­cia­li pur rico­no­sciu­te­gli astrat­ta­men­te dal­la legi­sla­zio­ne vati­ca­na”.

E sia­mo al secon­do pun­to cri­ti­co: i “plu­ri­mi inter­ven­ti”, tec­ni­ca­men­te chia­ma­ti “rescrip­ta”, con i qua­li papa Francesco ha modi­fi­ca­to in cor­so d’opera lo svol­gi­men­to del pro­ces­so, “amplian­do le facol­tà e i pote­ri del pro­mo­to­re di giu­sti­zia, orga­no dell’accusa, a sca­pi­to del­la sfe­ra di liber­tà degli impu­ta­ti”.

Cavana spe­ci­fi­ca che tali prov­ve­di­men­ti papa­li sono sta­ti “adot­ta­ti sen­za esse­re sta­ti mai pub­bli­ca­ti, in con­tra­sto con il prin­ci­pio di lega­li­tà, che impo­ne la pre­via pub­bli­ca­zio­ne degli atti aven­ti for­za di leg­ge pri­ma del­la loro entra­ta in vigo­re sia nell’ordinamento vati­ca­no che in quel­lo cano­ni­co, né comu­ni­ca­ti alle par­ti e rima­sti segre­ti fino alla loro pro­du­zio­ne in giu­di­zio da par­te del pro­mo­to­re di giu­sti­zia, avve­nu­ta – su espli­ci­ta richie­sta del Tribunale – solo mol­to tem­po dopo la loro ema­na­zio­ne e il loro uti­liz­zo (qua­si due anni dai pri­mi rescrit­ti e più di un anno dall’ultimo), e sot­trat­ti per tut­to il cor­so del pro­ces­so al vaglio di giu­ri­sdi­zio­ni ester­ne”.

L’emanazione da par­te del papa di tali prov­ve­di­men­ti, aggiun­ge Cavana, “ha poten­zial­men­te arre­ca­to un gra­ve ‘vul­nus’ all’indipendenza e alla stes­sa impar­zia­li­tà dei giu­di­ci. Infatti, tenen­do con­to del qua­dro nor­ma­ti­vo sopra richia­ma­to, ovve­ro del giu­ra­men­to di fedel­tà che i magi­stra­ti vati­ca­ni sono tenu­ti a pre­sta­re al pon­te­fi­ce e dei pote­ri che a que­sti com­pe­te su di essi, tra cui quel­lo di nomi­na e di revo­ca ‘ad libi­tum’, è evi­den­te che tali ‘rescrip­ta’ era­no in gra­do non solo di con­di­zio­na­re for­te­men­te la valu­ta­zio­ne dei giu­di­ci cir­ca la loro legit­ti­mi­tà e quel­la dei pote­ri da essi con­fe­ri­ti al pro­mo­to­re di giu­sti­zia ma anche di eser­ci­ta­re su di essi una for­te pres­sio­ne in ordi­ne allo stes­so esi­to del pro­ces­so”.

Non solo. La giu­sti­fi­ca­zio­ne data in aula a tali prov­ve­di­men­ti da par­te dei giu­di­ci del tri­bu­na­le vati­ca­no ha teo­riz­za­to “una con­ce­zio­ne asso­lu­ti­sta del pote­re sovra­no che non tro­va più alcun riscon­tro negli ordi­na­men­ti giu­ri­di­ci moder­ni e con­tem­po­ra­nei, rispet­to­si dei dirit­ti uma­ni e di civil­tà giu­ri­di­ca avan­za­ta, in quan­to annul­la ogni divi­sio­ne o sepa­ra­zio­ne dei pote­ri e pri­va i giu­di­ci di ogni pre­te­sa indi­pen­den­za rispet­to al sog­get­to sovra­no, al qua­le vie­ne rico­no­sciu­to il pote­re incon­di­zio­na­to di modi­fi­ca­re ‘ad libi­tum’ le nor­me del sin­go­lo pro­ces­so in cor­so anche a sca­pi­to dei dirit­ti degli impu­ta­ti, annul­lan­do di fat­to ogni garan­zia sta­bi­li­ta per leg­ge”.

Con in più la con­se­guen­za di “incri­na­re la sostan­zia­le affi­da­bi­li­tà di cui ha godu­to fino a oggi la giu­ri­sdi­zio­ne del­lo Stato del­la Città del Vaticano a livel­lo inter­na­zio­na­le”.

In par­ti­co­la­re, avver­te Cavana, non è affat­to sicu­ro che la sen­ten­za pena­le emes­sa dal Tribunale vati­ca­no al ter­mi­ne di un pro­ces­so sif­fat­to ven­ga rico­no­sciu­ta come vali­da in Italia, vista l’incompatibilità di tale pro­ces­so con le garan­zie che devo­no esse­re assi­cu­ra­te alla dife­sa, a nor­ma del­la Costituzione ita­lia­na.

E altret­tan­to può acca­de­re in cam­po inter­na­zio­na­le. Cavana cita una pas­sa­ta sen­ten­za del­la Corte euro­pea di Strasburgo nel­la qua­le l’Italia è sta­ta con­dan­na­ta per aver resa ese­cu­ti­va una sen­ten­za del­la Rota roma­na sen­za pri­ma veri­fi­ca­re “che nel qua­dro del­la pro­ce­du­ra cano­ni­ca la ricor­ren­te aves­se bene­fi­cia­to di un giu­sto pro­ces­so”. Il caso riguar­da­va un pro­ces­so cano­ni­co di nul­li­tà matri­mo­nia­le svol­to in for­ma abbre­via­ta come con­sen­ti­to da papa Francesco, nel qua­le la Corte euro­pea ave­va rav­vi­sa­to caren­te “la tute­la del fon­da­men­ta­le dirit­to alla dife­sa”.

Scrive Cavana in con­clu­sio­ne del suo sag­gio:

“È chia­ro che la posta in gio­co nel pro­ces­so con­tro il car­di­na­le Becciu e altri non riguar­da più sol­tan­to la sor­te degli impu­ta­ti, la loro ono­ra­bi­li­tà e liber­tà, che meri­ta­no peral­tro la mas­si­ma atten­zio­ne e tute­la, ma la stes­sa cre­di­bi­li­tà e coe­ren­za del­la Santa Sede, cioè la sua capa­ci­tà e volon­tà di attua­re con­cre­ta­men­te e in pri­ma per­so­na, ossia nell’ambito del pic­co­lo Stato di cui il papa è sovra­no, quei prin­ci­pi di civil­tà cui essa non sol­tan­to ha ade­ri­to sul pia­no inter­na­zio­na­le, impe­gnan­do­si a osser­var­li, ma che pro­cla­ma di difen­de­re e di pro­muo­ve­re come par­te del­la dot­tri­na socia­le del­la Chiesa”.

E anco­ra:

“La sua stes­sa mis­sio­ne di pace rischie­reb­be di risul­ta­re inde­bo­li­ta e meno effi­ca­ce se prin­ci­pi fon­da­men­ta­li, come quel­lo del­lo sta­to di dirit­to o ‘rule of law’, che costi­tui­sce una con­di­zio­ne essen­zia­le per assi­cu­ra­re la giu­sti­zia e la pace tra le per­so­ne e i popo­li, risul­tas­se­ro disat­te­si o con­trad­det­ti nel­la pra­ti­ca giu­di­zia­ria e di gover­no del­lo Stato vati­ca­no”.

*

Nell’auto­bio­gra­fia di papa Francesco che usci­rà doma­ni, 19 mar­zo, in più lin­gue e in deci­ne di pae­si per i tipi di HarperCollins, egli lamen­ta che nel­la Chiesa c’è anco­ra “chi vor­reb­be rima­ne­re fer­mo ai tem­pi del papa re”.

Ma se l’indipendenza dei giu­di­ci – come ha mes­so in evi­den­za il pro­fes­sor Cavana – “è il prin­ci­pio fon­da­ti­vo del­lo sta­to di dirit­to o ‘rule of law’, rico­no­sciu­to anche dal­la dot­tri­na socia­le del­la Chiesa”, pro­prio al monar­ca asso­lu­to Francesco va adde­bi­ta­to di aver­la ridot­ta in mace­rie.

“Ne era ben con­sa­pe­vo­le – scri­ve anco­ra Cavana – Benedetto XVI, il qua­le, in rela­zio­ne al pro­ces­so pro­mos­so e già con­clu­so nei con­fron­ti del suo came­rie­re per­so­na­le, che ave­va tra­fu­ga­to una gran quan­ti­tà di docu­men­ti dal­la sua abi­ta­zio­ne nel palaz­zo apo­sto­li­co, ebbe a dichia­ra­re: ‘Per me era impor­tan­te che pro­prio in Vaticano fos­se garan­ti­ta l’indipendenza del­la giu­sti­zia, che il monar­ca non dices­se: ades­so me ne occu­po io. In uno sta­to di dirit­to la giu­sti­zia deve fare il suo cor­so. Il monar­ca, poi, può con­ce­de­re la gra­zia. Ma que­sta è un’altra sto­ria’”.

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POST SCRIPTUM – Si può aggiun­ge­re che a com­pro­met­te­re l’indipendenza dei magi­stra­ti vati­ca­ni è arri­va­to anche un “motu pro­prio” di papa Francesco che ha incre­men­ta­to il trat­ta­men­to eco­no­mi­co e pen­sio­ni­sti­co degli stes­si, che in pas­sa­to era una sem­pli­ce inden­ni­tà misu­ra­ta sui tem­pi di lavo­ro men­tre ora è dato come se lavo­ras­se­ro sem­pre a tem­po pie­no.

Questo “motu pro­prio” è sta­to pub­bli­ca­to ed è entra­to in vigo­re il 4 dicem­bre 2023, cioè pochi gior­ni pri­ma dell’emissione del­la con­dan­na del car­di­na­le Becciu e di altri impu­ta­ti. Il che ha indot­to Geraldina Boni a scri­ve­re, a pagi­na 89 del suo pare­re “pro veri­ta­te”, che “que­sto curio­so sin­cro­ni­smo potreb­be indur­re a per­ce­pi­re l’intervento nor­ma­ti­vo come una gene­ro­sa ‘ricom­pen­sa’ ai giu­di­ci per il lavo­ro com­piu­to”.

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Sandro Magister è fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
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