La “New Right” americana mette in campo un cattolico, che forse avrà come rivale un ebreo. Le loro storie

Che un can­di­da­to cat­to­li­co sia in cor­sa per la Casa Bianca non è più un’anomalia. Ma è sicu­ra­men­te spe­cia­le il cat­to­li­ce­si­mo di cui è espres­sio­ne J. D. Vance, scel­to da Donald Trump come suo vice­pre­si­den­te.

Tra i vesco­vi degli Stati Uniti, pur in buo­na misu­ra cri­ti­ci del cat­to­li­ce­si­mo “libe­ral” del pre­si­den­te uscen­te Joe Biden, nes­su­no si è fino­ra schie­ra­to aper­ta­men­te a soste­gno di Vance. Ma tra gli elet­to­ri cat­to­li­ci una metà alme­no vote­ran­no repub­bli­ca­no, stan­do ai son­dag­gi del Pew Research Center di Washington. E l’entrata in sce­na di Vance non li sco­rag­ge­rà, anzi.

Il suo è anzi­tut­to il cat­to­li­ce­si­mo di un con­ver­ti­to, che spes­so è più mar­ca­to ed entu­sia­sta rispet­to a chi è nato e cre­sciu­to in una fami­glia cat­to­li­ca.

Più che i geni­to­ri, pro­te­stan­ti non pra­ti­can­ti, vio­len­ti e in mise­ria, è sta­ta la non­na di Vance, “Mamaw”, ener­gi­ca evan­ge­li­ca con la Bibbia in mano, a edu­car­lo da bam­bi­no, magni­fi­ca­men­te inter­pre­ta­ta da Glenn Close nel film di Ron Howard del 2020 sul bestsel­ler auto­bio­gra­fi­co del­lo stes­so Vance “Hillbilly Elegy”, una ele­gia, appun­to, sul­la vita agra del pro­le­ta­ria­to bian­co nel­la deca­du­ta area indu­stria­le tra i Monti Appalachi e i Grandi Laghi, ma anche sul­la voglia di riscat­to imper­so­na­ta dall’autore.

Tra il 2005 e il 2006 è in Iraq come mari­ne, e lì ha la sua pri­ma cri­si intel­let­tua­le. La guer­ra a cui pren­de par­te ha come matri­ce il neo­con­ser­va­to­ri­smo ame­ri­ca­no dei pri­mi anni Duemila, quel­lo di Irving Kristol e Norman Podhoretz, del­le rivi­ste “Commentary” e “Weekly Standard”. In ori­gi­ne “libe­ral” o per­si­no trotz­ki­sti, que­sti pen­sa­to­ri che si dico­no “assa­li­ti dal­la real­tà” recla­ma­no dagli Stati Uniti un impe­gno pla­ne­ta­rio di espan­sio­ne del­la liber­tà, di lot­ta con­tro le auto­cra­zie e i ter­ro­ri­smi, nel­la cor­ni­ce del­lo “scon­tro di civil­tà” teo­riz­za­to da Samuel P. Huntington. E han­no il loro gran­de mae­stro in Leo Strauss (1899–1973), ebreo tede­sco emi­gra­to in America, la cui ope­ra filo­so­fi­ca spa­zia tra ragio­ne e rive­la­zio­ne, tra Atene e Gerusalemme, con un respi­ro che lo avvi­ci­na alla visio­ne espres­sa da Benedetto XVI nel­la sua memo­ra­bi­le lezio­ne di Ratisbona.

Negli Stati Uniti vi sono anche dei pen­sa­to­ri cat­to­li­ci che ade­ri­sco­no a que­sta visio­ne, da Michael Novak a Richard J. Neuhaus a George Weigel, gran­di esti­ma­to­ri di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma è pro­prio con­tro que­sta visio­ne “neo­con” che Vance si rivol­ta. Tornato dall’Iraq si iscri­ve all’università, in Ohio, e si pro­fes­sa ateo e disce­po­lo di Christopher Hitchens. Poi pas­sa a Yale, dove inve­ce si avvi­ci­na al pro­te­stan­te­si­mo ame­ri­ca­no “del­la pro­spe­ri­tà”, quel­lo poi cri­ti­ca­to sen­za rispar­mio da un’edi­to­ria­le de “La Civiltà Cattolica” del 2018.

A Yale incon­tra però Peter Thiel, un dina­mi­co impren­di­to­re del­la Silicon Valley, che lo indu­ce a rimet­te­re in discus­sio­ne il pri­ma­to con­fe­ri­to alla “pro­spe­ri­tà”. Ed è a que­sto pun­to, alla metà degli anni Dieci, che Vance ripen­sa l’intero suo per­cor­so, scri­ve “Hillbilly Elegy” e duran­te la pre­si­den­za di Trump si avvi­ci­na alla “New Right”, la nuo­va destra, e a quel­li che oggi ven­go­no chia­ma­ti “neo-neocon”, con loro mag­gio­re espo­nen­te Patrick Deneen, pro­fes­so­re di scien­ze poli­ti­che alla University of Notre Dame, dive­nu­to suo mae­stro ed ami­co.

Per i pen­sa­to­ri di que­sta “New Right” il libe­ra­li­smo sta crol­lan­do sot­to le sue con­trad­di­zio­ni, ha gene­ra­to l’opposto di ciò che van­ta: dise­gua­glian­ze mate­ria­li, comu­ni­tà sfa­scia­te, cre­sci­ta fuo­ri con­trol­lo dei “pote­ri for­ti”. Da qui un’agenda popu­li­sta aspra­men­te osti­le alle “éli­te”, un comu­ni­ta­ri­smo spin­to, un iso­la­zio­ni­smo ame­ri­ca­no­cen­tri­co, che tro­va­no un ter­re­no fer­ti­le anche in set­to­ri cat­to­li­ci.

Entrato nel­la cer­chia di Trump – ini­zial­men­te da lui osteg­gia­to fino al disprez­zo – gra­zie ai buo­ni uffi­ci di Thiel che l’ha poi aiu­ta­to ad esse­re elet­to al sena­to nel 2023 per lo Stato dell’Ohio, Vance ama ricor­da­re gli epi­so­di e le let­tu­re che l’hanno por­ta­to alla con­ver­sio­ne al cat­to­li­ce­si­mo. Tra le let­tu­re, un posto pri­vi­le­gia­to lo asse­gna a sant’Agostino, al filo­so­fo fran­ce­se René Girard con la sua teo­ria del capro espia­to­rio, come anche allo scrit­to­re Rod Dreher, auto­re nel 2017 di un for­tu­na­to bestsel­ler dal tito­lo “The Benedict Option”.

Il “Benedict” del tito­lo non è il papa che ha por­ta­to da ulti­mo que­sto nome ma il gran­de capo­sti­pi­te del mona­che­si­mo occi­den­ta­le nel decli­no del mon­do anti­co. E la pro­po­sta del libro – acu­ta­men­te recen­si­to dal­lo sto­ri­co del­la Chiesa Roberto Pertici su Settimo Cielo dell’11 otto­bre 2018 – è che si crei­no anche oggi comu­ni­tà stre­nua­men­te impe­gna­te a tener viva la tra­di­zio­ne cri­stia­na in un mon­do che non solo l’ha smar­ri­ta ma le è sem­pre più osti­le.

Non stu­pi­sce, quin­di, come fa nota­re Marco Bardazzi nel trac­cia­re un pro­fi­lo del can­di­da­to vice­pre­si­den­te su “Il Foglio” del 18 luglio, che “c’era Dreher al suo fian­co nell’agosto del 2019, quan­do Vance ha rice­vu­to bat­te­si­mo e comu­nio­ne dal padre dome­ni­ca­no Henry Stephen nel­la chie­sa di Santa Gertrude a Cincinnati, in Ohio, ed è diven­ta­to cat­to­li­co”.

Ma nem­me­no stu­pi­sce che un teo­lo­go ita­lia­no che è tra i più acce­si com­bat­ten­ti sul fron­te oppo­sto, Marcello Neri, scri­va a com­men­to del­la nomi­na del cat­to­li­co Vance a vice di Trump la seguen­te sen­ten­za di con­dan­na dell’intera Chiesa degli Stati Uniti, secon­do lui ormai con­qui­sta­ta dai “neo-neocon” e irre­pa­ra­bil­men­te fuo­ru­sci­ta dal­la sta­gio­ne “con­ci­lia­re”:

“La Chiesa cat­to­li­ca sta­tu­ni­ten­se ha ora nel can­di­da­to repub­bli­ca­no alla vice­pre­si­den­za, J. D. Vance, la rap­pre­sen­tan­za poli­ti­ca che cer­ca­va da tem­po, avvian­do così l’inizio di una nuo­va sta­gio­ne di ’ame­ri­ca­ni­smo’ di una Chiesa che, al con­tra­rio di quan­to avven­ne tra il XIX e il XX seco­lo, non è guar­da­ta con sospet­to da Roma, ma si assu­me l’onere e la respon­sa­bi­li­tà di pro­por­si come motri­ce del sospet­to cat­to­li­co nei con­fron­ti del Vaticano, e in par­ti­co­la­re di papa Francesco”.

Nulla fa pre­sa­gi­re l’imminenza di un con­cla­ve per la suc­ces­sio­ne all’attuale pon­te­fi­ce. Ma c’è una curio­sa simi­li­tu­di­ne tra la viru­len­za di que­sto “j’accuse” intra­cat­to­li­co e i fero­ci dar­di reto­ri­ci sca­glia­ti con­tro gli avver­sa­ri dai con­ten­den­ti per la Casa Bianca.

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E sul ver­san­te del par­ti­to demo­cra­ti­co? In atte­sa del­la con­fer­ma di Kamala Harris come can­di­da­ta alla pre­si­den­za, anche la nomi­na del suo vice deve aspet­ta­re. Ma non sen­za che già spic­chi un nome: quel­lo di Josh Shapiro, 50 anni, già pro­cu­ra­to­re gene­ra­le e dal gen­na­io 2023 gover­na­to­re del­la Pennsylvania.

Se la scel­ta cadrà su di lui, egli sarà il secon­do ebreo can­di­da­to alla vice­pre­si­den­za del­la sto­ria ame­ri­ca­na, dopo Joe Lieberman, anche lui demo­cra­ti­co, scon­fit­to assie­me ad Al Gore nel 2000.

Shapiro è un ebreo osser­van­te del­la cor­ren­te con­ser­va­tri­ce e non ha mai nasco­sto que­sta sua iden­ti­tà. “Non c’è vener­dì sera – ama­va dire nel­la cam­pa­gna elet­to­ra­le per il gover­na­to­ra­to – che io non tor­ni a casa per la cena del­lo Shabbat, per­ché la fami­glia e la fede sono il mio fon­da­men­to”.

Da pro­cu­ra­to­re gene­ra­le fu lui a cura­re un’indagine sugli abu­si ses­sua­li tra il cle­ro cat­to­li­co del­la Pennsylvania. Ma mol­to più dram­ma­ti­ca fu la tra­ge­dia che dovet­te affron­ta­re nel 2018, quan­do nel­la sina­go­ga Tree of Life di Pittsburgh il supre­ma­ti­sta bian­co Robert Bowers assas­si­nò undi­ci ebrei. Inizialmente Shapiro invo­cò per lui la pena di mor­te. Ma poi rife­rì d’aver incon­tra­to alcu­ne fami­glie del­le vit­ti­me, per le qua­li “lo Stato non avreb­be dovu­to toglier­gli la vita, come puni­zio­ne per aver tol­to la vita ai loro cari. Questo mi com­mos­se e mi rima­se impres­so”. Tant’è vero che una vol­ta elet­to gover­na­to­re ha chie­sto per la Pennsylvania l’abolizione del­la pena di mor­te.

Dopo l’eccidio com­piu­to da Hamas il 7 otto­bre ha pre­so le dife­se degli ebrei fat­ti segno di attac­chi negli Stati Uniti. È soste­ni­to­re del­la solu­zio­ne dei due Stati per due popo­li ed è cri­ti­co del­la poli­ti­ca di Benjamin Netanyahu.

Se scel­to come can­di­da­to vice­pre­si­den­te, sarà inte­res­san­te segui­re il suo con­fron­to con Vance. L’uno ebreo e l’altro cat­to­li­co, ed entram­bi uomi­ni di fede.

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Sandro Magister è fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
Questo è l’attuale indi­riz­zo del suo blog Settimo Cielo, con gli ulti­mi arti­co­li in lin­gua ita­lia­na: settimocielo.be
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