La legge è stata approvata dal parlamento ucraino il 20 agosto, con 265 voti a favore e solo 29 contrari, e sabato 24 il presidente Volodymyr Zelensky l’ha firmata, con la sola protesta pubblica – fino a quel momento – del patriarca ortodosso di Mosca Kirill, che l’ha messa nientemeno alla pari con “la persecuzione nell’impero romano ai tempi di Nerone e Diocleziano” e ha inviato una lettera appello ai capi delle Chiese cristiane e al papa, ma non al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo da lui assimilato ai sommi sacerdoti Anna e Caifa che vollero la crocifissione di Gesù, come oggi “la crocifissione e distruzione della Chiesa ortodossa ucraina”.
Ma alla protesta di Kirill si è inaspettatamente aggiunto, domenica 25 agosto, papa Francesco, con queste parole al termine dell’Angelus, non improvvisate ma lette ad una ad una e chiaramente scritte di suo pugno:
“Continuo a seguire con dolore i combattimenti in Ucraina e nella Federazione Russa, e pensando alle norme di legge adottate di recente in Ucraina, mi sorge un timore per la libertà di chi prega, perché chi prega veramente prega sempre per tutti. Non si commette il male perché si prega. Se qualcuno commette un male contro il suo popolo, sarà colpevole per questo, ma non può avere commesso il male perché ha pregato. E allora si lasci pregare chi vuole pregare in quella che considera la sua Chiesa. Per favore, non sia abolita direttamente o indirettamente nessuna Chiesa cristiana. Le Chiese non si toccano!”.
La protesta del papa ha irritato le autorità di Kyiv. L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede l’ha definita “fuori luogo perché la nuova legge non interferisce con la possibilità di ciascuno di pregare come vuole”.
Ma soprattutto ha contraddetto i capi delle Chiese cristiane presenti in Ucraina – esclusa quella con storici legami col patriarcato di Mosca ma compresa la greco-cattolica presieduta dall’arcivescovo maggiore di Kyiv Sviatoslav Shevchuk – che dopo un incontro con Zelensky il 16 agosto avevano emesso una dichiarazione congiunta di sostegno alla messa fuori legge di qualsiasi organizzazione religiosa in Ucraina che abbia il suo “centro” in Russia e dalla Russia “sia governata”.
Perché proprio a questo mira la legge n. 3894 votata il 20 agosto, che anzi è ancor più stringente, bastando la semplice “affiliazione” a Mosca a far scattare la sanzione.
Nella stessa giornata del 20 agosto, dopo averne parlato in un incontro con l’ambasciatore italiano a Kyiv, l’arcivescovo Shevchuk ha così espresso, in un comunicato, il principio a cui si ispira la nuova legge, a giudizio non solo suo ma del Consiglio delle Chiese dell’Ucraina: “il diritto e dovere dello Stato di garantire la sicurezza nazionale, reagendo alla possibile strumentalizzazione delle organizzazioni religiose da parte degli Stati aggressori”.
E ha aggiunto:
“Siccome l’ambiente religioso in Ucraina è diventato un bersaglio degli attacchi da parte della Russia, lo Stato è obbligato a reagire ai portatori dell’ideologia del ‘mondo russo’, cosi come ogni paese europeo fa nei confronti della diffusione dell’ideologia dello Stato islamico e dei suoi estremisti religiosi. La nuova legge non riguarda il divieto di una Chiesa, ma la sua libertà da parte del paese aggressore”.
Ma ora che la legge n. 3894 è in vigore, che effetti concreti avrà sul futuro dell’unica Chiesa ucraina che ha legami con il patriarcato di Mosca?
Le Chiese ortodosse presenti in Ucraina sono tre. C’è quella storicamente affiliata a Mosca, che ha tuttora il maggior numero di fedeli, con suo metropolita Onofrio. Poi ce n’è un’altra, molto più piccola, distaccatasi decenni fa da Mosca al seguito del suo autoproclamatosi patriarca Filarete. E poi ancora ce n’è una autocefala, indipendente, di medie dimensioni, nata nel 2018 con l’approvazione convinta del patriarca ecumenico di Costantinopoli, con suo metropolita Epifanio.
Effettivamente, nella Chiesa ortodossa ucraina storicamente dipendente dal patriarcato di Mosca alcune decine di ecclesiastici continuano ad agire a sostegno del “mondo russo”, anche dopo l’invasione. E per questo molti di loro sono stati condannati e incarcerati, e talora persino scambiati con dei prigionieri ucraini. Ma va tenuto conto che già nei primi mesi dopo l’aggressione russa questa Chiesa, nel suo insieme, ha preso decisamente le distanze dal patriarcato di Mosca, fino a rompere con esso su tre punti chiave: cessando di citare il nome del patriarca Kirill nel canone della messa, rifiutando di ricevere dalla Chiesa di Mosca ogni anno il sacro crisma e cancellando dal proprio statuto ogni formula di dipendenza dal patriarcato russo.
Purtroppo, però, nemmeno quest’ultimo atto ha messo al riparo questa Chiesa ortodossa ucraina dai rigori della nuova legge n. 3894, secondo la quale, per metterla al bando, basta riscontrare che negli statuti del patriarcato di Mosca sta scritto che la sua filiale ucraina è sempre sottoposta alle decisioni del patriarcato, senza che tale riscontro debba essere necessariamente corredato dalle prove di una sua effettiva collaborazione col nemico.
Non è questo l’unico passaggio della nuova legge che ha sollevato critiche da parte di osservatori e analisti indipendenti e competenti, come ad esempio il giurista americano di Seattle Peter Anderson, grande studioso del mondo ortodosso. A suo giudizio difficilmente tale legge può reggere il confronto con le convenzioni internazionali a garanzia della libertà di religione, alle quali anche l’Ucraina ha aderito. È costruita in modo tale, infatti, da portare comunque la Chiesa ortodossa ucraina retta dal metropolita Onofrio alla messa al bando, che in pratica consiste nell’obbligo di cessare le attività religiose, nella confisca delle proprietà da parte dello Stato e nel trasferimento dei luoghi di culto ad altre organizzazioni religiose.
Fortunatamente – ha fatto notare Anderson – l’ultima versione della legge n. 3894 approvata il 20 agosto ha ritardato di nove mesi l’avvio delle procedure giudiziarie che dovrebbero sentenziare la messa al bando. C’è quindi un margine da qui al maggio 2025 per trovare una soluzione meno traumatica al destino della Chiesa ortodossa ucraina che Mosca – e solo Mosca – continua a ritenere subordinata a sé.
E in questo prezioso spazio temporale è subito entrato in azione un attore importante: il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo.
Il suo obiettivo finale è quello di incorporare le Chiese ortodosse presenti in Ucraina in un’unica Chiesa indipendente, che è poi la stessa che ha preso vita nel 2018. È un obiettivo apertamente condiviso dal presidente Zelensky, ma molto arduo da raggiungere, visto il forte antagonismo che sussiste tra la Chiesa con metropolita Onofrio e quella con metropolita Epifanio. Basti notare che le poche incorporazioni fin qui già avvenute (non sempre pacificamente) di parrocchie della Chiesa di Onofrio nella Chiesa di Epifanio hanno visto passare da una Chiesa all’altra solo i fedeli, ma non i rispettivi sacerdoti e vescovi. Nella Chiesa di Onofrio c’è chi ritiene illegittima la Chiesa nata nel 2018 e scismatico il patriarca di Costantinopoli, fino a non più nominarlo nel canone della messa, e preferirebbe proseguire in clandestinità, dopo la messa fuori legge, piuttosto che confluire nell’altra Chiesa.
Pur nelle difficoltà, qualcosa però si muove nella direzione auspicata. Il 13 agosto, a Istanbul, nella sede del patriarcato ecumenico, c’è stato un incontro tra il patriarca Bartolomeo, il metropolita Epifanio e rappresentanti del governo di Kyiv. E a questo incontro è seguito, il 15 agosto, l’invio di una lettera di Epifanio a Onofrio con la proposta – per la prima volta – di un dialogo “senza precondizioni”.
Ma soprattutto, il 20 agosto, lo stesso giorno dell’approvazione della legge n. 3894, si è recata a Kyiv un’autorevole delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, composta da tre ecclesiastici impegnati da anni sulle questioni ucraine (vedi foto).
Il 22 agosto i tre delegati del patriarca Bartolomeo hanno incontrato a lungo, separatamente, i metropoliti Epifanio e Onofrio, e il 23 agosto Filarete e l’arcivescovo maggiore greco-cattolico Shevchuk.
Stando a quanto è trapelato da questi colloqui, la proposta di Costantinopoli è di istituire in Ucraina una temporanea struttura del patriarcato ecumenico finalizzata ad accogliere le parrocchie e le diocesi della Chiesa ortodossa messe al bando in forza della legge n. 3894: questo come soluzione urgente e provvisoria in attesa di una futura pacifica unificazione.
Nella Chiesa retta dal metropolita Onofrio c’è chi ritiene inaccettabile anche questa soluzione intermedia. Ma intanto sta già accadendo molto di simile in una delle tre repubbliche baltiche, l’Estonia. Con effetti giudicati positivi da tutti tranne che da Mosca.
Anche in Estonia convivono due Chiese ortodosse: quella detta “apostolica” che è parte del patriarcato ecumenico di Costantinopoli e quella statutariamente affiliata al patriarcato di Mosca, il cui metropolita Eugenio è stato mandato in esilio dal governo di Tallinn proprio per la sua ostentata subalternità a Kirill.
Ebbene, dopo un incontro, il 30 luglio, a Tallinn, tra il ministero degli interni dell’Estonia e il vicario dell’esiliato metropolita Eugenio, è uscito un comunicato ministeriale che ha come titolo: “Il ministero dell’interno e la Chiesa ortodossa estone hanno concordato ulteriori passi per ridurre ed eliminare l’influenza del patriarcato di Mosca sulla Chiesa estone”.
E riassume così le decisioni prese:
“Nell’incontro, la Chiesa ortodossa estone ha presentato la sua visione del processo di dissociazione dal patriarcato di Mosca in due momenti, nel primo dei quali gli attuali statuti saranno cambiati e nel secondo saranno avviate consultazioni con la Chiesa ortodossa apostolica per trovare come unificare in futuro tutte le Chiese ortodosse dell’Estonia in una singola Chiesa”.
Il primo di questi due momenti è già in corso d’applicazione, con la cancellazione dagli statuti della Chiesa estone di ogni forma di subalternità al patriarcato di Mosca. Sulla concretizzazione del secondo, invece, permangono serie difficoltà, riflesse in due successive, contraddittorie dichiarazioni del vicario presente all’incontro, la prima favorevole al processo di unificazione, la seconda (in lingua russa) inaspettatamente critica e con la sottolineatura che l’esiliato Eugenio “continua ad essere il nostro primate”. Forse per un richiamo all’ordine da parte di Mosca, che continuerebbe ad avere poteri di condizionamento sulla Chiesa estone?
Quanto all’Ucraina, si vedrà. Da qui a maggio si potrà fare molto per evitare che la sua maggiore Chiesa ortodossa sia messa fuori legge.
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POST SCRIPTUM – Nella Chiesa ortodossa ucraina storicamente legata al patriarcato di Mosca le prime reazioni al varo della legge 3894 hanno messo in luce orientamenti diversi. Ne sono prova due interventi.
Il primo, del metropolita Luca di Zaporozhye, ha bollato il processo di unificazione promosso dal patriarca di Costantinopoli come un inaccettabile “allontanamento dalla fede ortodossa” e una “corsa verso l’unità col Vaticano”.
Il secondo, di Sergii Bortnyk, professore dell’Accademia teologica di Kyiv, ha per titolo, in inglese: “Legislative ban on UOC as a chance for reconciliation of Orthodox Churches in Ukraine” e vede nella legge 3894 una felice opportunità per le Chiese “di fare ciò che in circostanze normali apparirebbe impossibile”.
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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
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