Anche negli USA le fedi pesano di meno. E in religione sia Biden che Trump ricevono brutti voti

Non solo l’Italia – vedi il post precedente –, ma anche gli Stati Uniti non rappresentano più una “eccezione” nel generale declino della vitalità religiosa, in un Occidente sempre più secolarizzato.

A favore della vitalità religiosa degli Stati Uniti giocavano, a detta di alcuni studiosi, le molte fedi in dinamica competizione nello stesso “mercato”, a differenza della prevalente monocromia religiosa dei paesi europei.

Oggi questa pluralità di fedi è ancora presente negli States, e i passaggi da una credenza a un’altra sono tuttora frequenti. Ma l’influenza della religione nella società è da anni in calo costante, a giudizio della gran parte della popolazione.

L’ultima indagine del Pew Research Center di Washington ha rilevato che ben 8 americani su 10 dicono che la religione sta perdendo influenza nella vita pubblica, molti più che all’inizio del secolo, quando a esprimere questo giudizio erano 5 su 10.

Il giudizio opposto, di chi invece continua a ravvisare una crescita di influenza pubblica della religione, è oggi solo del 18 per cento della popolazione, molti di meno del quasi 40 per cento d’inizio secolo.

Ma come valutano gli americani queste variazioni che dicono di percepire? In maggioranza, per l’esattezza il 57 per cento, esprimono una valutazione positiva dell’influenza della religione nella vita pubblica, e quindi non ritengono affatto una buona cosa che essa cali così vistosamente.

La metà degli americani ritengono “importante” che anche il loro presidente sia persona di solida fede. Eppure nemmeno lì si dicono soddisfatti. Solo il 13 per cento giudicano tale Joe Biden, e molti meno, il 4 per cento, Donald Trump.

Pochi – con la sola eccezione dei protestanti “evangelical” – auspicano che il presidente condivida la loro stessa credenza. Ma quasi tutti, più del 90 per cento, vorrebbero che in ogni caso egli conduca una vita “morale ed etica” specchiata: un’aspettativa, quest’ultima, condivisa da protestanti e cattolici, ebrei e musulmani, atei e agnostici, democratici e repubblicani.

Alla prova dei fatti, però, sia Biden che Trump sono giudicati dalla gran parte degli intervistati nemmeno tanto capaci di difendere gli spazi religiosi di ciascun cittadino. Fanno eccezione per Biden gli ebrei e i protestanti neri, dei quali rispettivamente il 73 e il 60 per cento vedono in lui un buon difensore delle rispettive religioni, e per Trump il 69 per cento dei protestanti “evangelical” bianchi. Quanto ai cattolici, il 44 per cento vedono in Biden il loro difensore, mentre il 41 per cento lo vedono in Trump.

Il 55 per cento degli americani vorrebbe che il governo federale rafforzi la separazione tra le Chiese e lo Stato e il 39 per cento che eviti di promuovere valori cristiani.

Ma il 44 per cento degli intervistati, pur escludendo che il cristianesimo sia dichiarato la religione ufficiale degli Stati Uniti, comunque vuole che il governo federale promuova i valori cristiani.

Sulle tendenze in corso si fronteggiano giudizi opposti. Una metà degli americani ritiene che i cristiani conservatori sono andati troppo in là nel promuovere i loro valori religiosi nell’amministrazione e nelle scuole pubbliche, mentre l’altra metà ritiene che a esagerare nel tenere i valori religiosi fuori dalle istituzioni pubbliche sono stati i “liberal” secolari.

Nella prima delle due metà si distinguono gli ebrei, gli atei, gli agnostici e i sostenitori del partito democratico, nella seconda i protestanti “evangelical” bianchi e i sostenitori del partito repubblicano. Anche i cattolici si trovano un po’ più nella seconda metà che nella prima, rispettivamente il 57 per cento contro il 43.

Insomma, gli abitanti degli Stati Uniti vivono oggi con crescente disagio le variazioni che intercorrono nel ruolo pubblico delle religioni.

Il 48 per cento degli intervistati (quattro anni fa il 42) dicono di avvertire un conflitto tra le loro personali convinzioni religiose e la cultura americana dominante. Un conflitto percepito anche da circa la metà dei cattolici.

Ma ben il 41 per cento (quattro anni fa il 33) dicono che con chi si è in disaccordo su questioni religiose la cosa migliore è tacere del tutto. Solo il 5 per cento dicono che è meglio tentare di persuadere l’interlocutore a cambiare idea.

Curiosamente, anche in politica sono appena il 5 per cento quelli che ritengono buona cosa discutere con chi è in disaccordo per provare a cambiare il suo orientamento.

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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
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