Addio all’India democratica e multiculturale. Con i cristiani sempre più perseguitati

Si avvicinano le elezioni in quella che è ancora chiamata “la più grande democrazia del mondo” e per stravincere il primo ministro Narendra Modi inventa di tutto.

Per rastrellare i voti della minoranza cristiana – 68 milioni su un miliardo e 400 milioni, il 5 per cento della popolazione – ha moltiplicato i gesti di vicinanza alle varie Chiese. La scorsa Pasqua si è recato di persona, per la prima volta, nella cattedrale cattolica di New Delhi, ad accendere un lume davanti alla statua di Cristo risorto. Qualche giorno prima aveva incontrato il capo della Chiesa ortodossa siro-malankarese, mentre altri esponenti del Bharatiya Jamata Party, BJP, il partito induista al potere, facevano visita alle diocesi del Kerala, lo Stato indiano nel quale i cattolici sono più presenti, guadagnandosi i pubblici elogi del cardinale George Alencherry.

Inoltre, Modi coltiva il terreno elettorale della ben più folta minoranza musulmana, forte di 200 milioni di persone.

Il Rashtriya Swayamsevak Sangh, RSS, l’organizzazione induista di estrema destra che è la culla ideologica e il braccio paramilitare del BJP, nella quale Modi ha militato in gioventù, ha aumentato in pochi anni da 10 mila a un milione gli iscritti al proprio ramo musulmano, e di recente ha messo in moto una sistematica occupazione, con docenti guadagnati alla propria causa, dei ruoli dirigenti nelle università islamiche, una dozzina, sulle cui facciate sono ora comparse le bandiere dell’India nel giorno dell’indipendenza, il 15 agosto, come mai era avvenuto in precedenza. L’obiettivo elettorale è di raddoppiare i voti al BJP dal 9 per cento degli elettori musulmani nelle due ultime elezioni al 17 per cento degli attuali sondaggi.

Intanto, però, dietro queste mosse di buon vicinato accade tutt’altro.

Il National Council of Educational Research and Training ha modificato i libri di testo per gli studenti dagli 11 ai 18 anni, per la terza volta da quando il BJP è al potere, a tutto e solo vantaggio degli hindu. Ha ridotto al minimo e ha messo in cattiva luce i riferimenti all’impero Moghul, la dinastia musulmana che governò gran parte dell’India tra il XVI e il XIX secolo. Ha liquidato in poche righe l’assassinio del Mahatma Gandhi, il leader che guidò il paese all’indipendenza all’insegna della nonviolenta e dell’unità hindu-musulmana, ucciso nel 1948 da un induista fanatico cresciuto nel RSS. E ha taciuto del tutto le violenze del 2002 in Gujarat, con Modi che all’epoca era il primo ministro di quello Stato indiano, con un migliaio di vittime quasi tutte musulmane.

Ma soprattutto, Modi ha segnato uno spartiacque nella vicenda dell’India moderna officiando lui, di persona (vedi foto), il rito della consacrazione dell’immagine del dio Rama bambino, il Ram Lalla, nel basamento del grandioso nuovo tempio in suo onore, ad Ayodhya, in costruzione sopra le rovine di una moschea di epoca Moghul rasa al suolo da induisti estremisti nel 1992, dopo anni di assedio e di assalti.

“Il 22 gennaio 2024 è l’inizio di una nuova era”, ha detto Modi nel vivo della cerimonia con al suo fianco Mohan Bhagwat, il capo supremo del RSS. “Rama è la fede dell’India. Rama è la fondazione dell’India. Rama è la legge dell’India. Rama è il leader e Rama è la politica dell’India”.

Al posto di quella che era l’India democratica e multiculturale sta dunque nascendo per volontà di Modi l’Hindu Rashtra, l’India come nazione unicamente hindu. Dove gli appartenenti alle altre religioni indiane, i sikh, i buddisti, i giainisti, gli animisti delle popolazioni tribali, saranno tollerati, ma non chi professa le religioni dei popoli invasori, l’islam degli imperatori Moghul e il cristianesimo dei colonialisti inglesi.

E puntualmente, l’inizio di questa “nuova era” annunciata da Modi ad Ayodhya ha messo in moto una nuova ondata di violenze contro i cristiani, come descritto da un osservatore competente qual è Carlo Buldrini, per molti anni reggente dell’Istituto Italiano di Cultura a New Delhi, su “Il Foglio” del 7 febbraio:

“Il giorno che ha preceduto la consacrazione dell’immagine di Rama era una domenica. Negli Stati del Madhya Pradesh e del Chhattisgarh i militanti della destra hindu, col grido di ‘Jai Shri Ram’, hanno attaccato chiese cattoliche ed evangeliche all’ora della messa e del culto comunitario. Sono giunte notizie di attacchi alla chiese e alle comunità cristiane nei piccoli centri di Dabtalai, Matasula, Uberao, Dhamaninathu e Padlawa nel Madhya Pradesh e a Basudopur nel Chhattisgarh. A Dabtalai 25 giovani hanno circondato la piccola chiesa, sono saliti sul tetto dell’edificio e hanno issato sulla croce una bandiera color zafferano con stampata l’immagine del nuovo tempio di Ayodhya. A Matasula, la chiesa cattolica è stata attaccata malgrado al suo esterno avesse appeso un grande poster a colori con l’immagine di Rama e del nuovo tempio e di fianco quella del suo vescovo Peter Rumal Kharadi. Nel poster, in lingua hindi, si facevano le congratulazioni e gli auguri per la consacrazione del tempio di Ayodhya ‘da parte di tutta la comunità cattolica del distretto di Jhabua in Madhya Pradesh’”.

Niente di nuovo in questo resoconto. È da anni che in India le aggressioni nei confronti dei cristiani e dei musulmani sono in costante aumento, motivate da odio religioso, da inimicizie di etnia o di casta, ma anche facendo leva sulle leggi anti-conversione entrate in vigore già in dodici Stati, a protezione – si sostiene – della religione hindu e applicate in modo strumentale contro chiese e scuole cristiane, come se ogni conversione fosse lì procurata con l’inganno o con la forza.

A questo proposito basti citare due episodi recentissimi. Il 7 febbraio è stato arrestato a Lucknow, nell’Uttar Pradesh, il sacerdote cattolico Dominic Pinto, con l’accusa di aver cercato di “convertire hindu poveri” ospitando, nel centro pastorale diocesano da lui diretto, un incontro di preghiera promosso da un gruppo protestante assieme ai Khrist Bhakta, i « seguaci di Cristo », un movimento di persone che pur non essendosi convertite al cristianesimo seguono gli insegnamenti di Gesù. Il vescovo di Lucknow ha energicamente protestato contro l’arresto, avvenuto “senza alcuna prova e con grave abuso della legge anti-conversione”, in uno Stato come l’Uttar Pradesh in cui i cristiani sono appena lo 0,18 per cento degli oltre 200 milioni di abitanti, l’80 per cento dei quali hindu.

Il 27 gennaio, nello Stato del Chhattisgarh, si è invece svolta un’ennesima cerimonia collettiva chiamata Ghar Wapsi, “ritorno a casa”, ovvero la riconversione all’induismo – col beneficio di sussidi economici – di un migliaio di cristiani appartenenti alle caste inferiori o senza casta, con il rito del lavaggio dei piedi nelle acque del Gange.

A essere colpiti dalle leggi anti-conversione e dai riti di riconversione alla religione hindu sono naturalmente anche i musulmani. Che nei giorni scorsi hanno patito la demolizione di altre due moschee, a Haldwani nello Stato dell’Uttarakhand e nel distretto Mehrauli di New Delhi, non ad opera di aggressori esagitati ma di squadre capeggiate da funzionari governativi, in forza di decreti che definivano edificate illegalmente entrambe le moschee, una delle quali, quella di Delhi, vecchia di seicento anni. Le demolizioni hanno provocato delle proteste represse con violenza, con cinque morti e oltre 80 feriti.

E un’altra antica moschea è sotto la minaccia d’essere trasformata in un tempio al dio Shiva, a Varanasi, la città santa dell’induismo, sul fiume Gange.

In più, il 10 febbraio è entrata in vigore nello Stato dell’Assam una legge che punisce le pratiche “magiche” di guarigione, ma in realtà è finalizzata – a detta del primo ministro Himanta Biswa Sara – a “frenare l’evangelizzazione” da parte di chi “usa la guarigione per convertire le popolazioni tribali”.

Invano l’arcivescovo di Guwahati John Moolachira e l’Assam Christian Forum che riunisce le diverse confessioni cristiane della regione hanno obiettato che la cura dei malati nei loro dispensari e ospedali non è “proselitismo” ma “risposta compassionevole alla sofferenza umana”, e che la preghiera che accompagna le cure non ha nulla di magico ma è una pratica universale di invocazione a Dio e di amore, non solo in chiese e moschee ma anche nei templi hindu.

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POST SCRIPTUM – Due giorni dopo la pubblicazione di questo post, il governo indiano ha revocato la licenza a ricevere fondi dall’estero all’Indian Social Institute, ISI, di New Delhi, un importante centro di ricerca fondato dai gesuiti.

Utilizzata spesso come arma politica contro le voci critiche, in passato tale revoca è stata inflitta temporaneamente anche alle Figlie della Carità di Madre Teresa.

Sulla sua rivista accademica “Social Action”, esperti dell’ISI avevano recentemente criticato “la spinta ideologica alla supremazia hindu, ispirata da un modello intollerante di nazionalismo religioso comunemente noto come Hindutva”, che “ha portato a una violenza diffusa contro le comunità e le minoranze emarginate in tutto il Paese”.

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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
Questo è l’attuale indirizzo del suo blog Settimo Cielo, con gli ultimi articoli in lingua italiana: settimocielo.be
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