Le università pontificie sono troppe, dice Francesco. Ma intanto ne ha creata una in più

(s..m.) Lo scorso 15 gennaio, nel dare udienza a professori e studenti dello “Studium Biblicum Franciscanum”, papa Francesco non si è trattenuto dal rivolgere questo rimbrotto, e non a loro soltanto: “Approfitto dell’occasione per dire che ci sono troppe università ecclesiastiche a Roma. Voi dovete mettervi d’accordo e fare qualche forma di unità: unità nei piani di studio. Mettetevi d’accordo, parlate!”.

Non era la prima volta che Francesco picchiava duro su questa sua fissazione. Lo aveva già fatto lo scorso 25 febbraio, ricevendo i docenti di tutte le università, gli atenei, gli istituti e le facoltà pontificie di Roma, ai quali ordinò con piglio perentorio di fare un’unica squadra, smettendo di “andare litigando fra noi per prendere un alunno, un’ora in più”, nel calo generale di studenti e insegnanti.

A Roma le università pontificie sono sette: la “Angelicum” dei domenicani, la “Antonianum” dei francescani, la Gregoriana dei gesuiti, la Lateranense della diocesi di Roma, quella della Santa Croce dell’Opus Dei, la Salesiana, l’Urbaniana del dicastero per l’evangelizzazione.

E due sono gli atenei pontifici: l’”Anselmianum” dei benedettini e il “Regina Apostolorum” dei Legionari di Cristo. A cui si aggiungono quattro pontificie facoltà e nove istituti pontifici di studi, per un totale di ventidue sedi d’insegnamento superiore, ciascuno con i suoi patroni.

Finora le spinte unitarie del papa non hanno prodotto risultati degni di nota. Anzi, nel frattempo le insegne sono aumentate da ventidue a ventitré, e proprio grazie a un’iniziativa personale di Francesco.

Questo perché, in forza di un chirografo papale in data 15 agosto 2023 finora mai reso pubblico e corredato da un messaggio pontificio anch’esso solo “virtuale”, è stata aggiunta alla lista una nuova università “con sede nello Stato della Città del Vaticano”, che porta il nome surreale di “Università del Senso”, e in cui “ciò che si insegna non è una cosa ma la vita stessa”.

Leggere, per credere, il comunicato con cui “Scholas Occurrentes”, il movimento educativo internazionale di diritto pontificio fondato da Bergoglio quand’era arcivescovo di Buenos Aires, al quale il papa ha affidato la gestione della nuova università, ha dato notizia della sua nascita, con tanto di indicazione nome per nome dei suoi più alti docenti.

Alla bizzarra creazione aggiuntiva di questa “Università del Senso”, come pure alle opposte pressioni di Francesco per un accentramento della gestione degli atenei pontifici e una riduzione del loro numero, esprimono qui di seguito le loro critiche due docenti di diritto canonico molto esperti dei problemi in gioco.

A loro la parola.

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Una preziosa e imprescindibile autonomia

di Geraldina Boni e Andrea Zanotti
professori ordinari di diritto canonico e di diritto ecclesiastico
“Alma Mater Studiorum”, Università di Bologna

Bologna, gennaio 2024

La sollecitazione di papa Francesco sulla necessità, per gli atenei pontifici, di fare rete certamente interpreta un bisogno di razionalizzazione e di coordinamento. Sette università e due atenei per sedicimila studenti provenienti da centoventicinque Paesi del mondo rappresentano un universo che ovviamente esige una pianificata regia nella sua articolazione e un’attenzione peculiare nella gestione.

Nell’affrontare questo tema, tuttavia, una cautela, volta a tutelare le due facce di questa medaglia, si impone.

La prima riguarda la salvaguardia indispensabile della preziosa ricchezza insita nella tradizione originale e nelle diverse ispirazioni che sono alla radice fondativa di queste realtà accademiche. Ognuna di esse nasce – pur, naturalmente, entro il grembo di una stessa adesione – da presupposti culturali e concezioni teologiche o pastorali, nonché da carismi, differenti, e ha sedimentato nel tempo attitudini e sensibilità caratteristiche e irriducibili l’una all’altra.

Così l’inclinazione preferenziale per la difesa dei diritti e della dignità del temporale dell’Università della Santa Croce si coniuga con la propensione più filosofica dell’Università San Tommaso d’Aquino o con lo sguardo tendenzialmente aperto all’antropologia e alle discipline sociali dell’Università Gregoriana, oppure ancora con la vocazione all’attività missionaria dell’Università Urbaniana.

Questa dilatata pluralità di correnti e di impostazioni hanno irrorato fecondamente il tessuto della Chiesa, favorendo sia la verticalità degli approfondimenti nella speculazione, sia la possibilità stessa di costruire cifre importanti di interdisciplinarità.

In queste difformi e variegate esperienze accademiche, poi, sono sorte, attorno alla figura di maestri autorevoli, delle scuole di pensiero che, approdate a incisivi traguardi, hanno allacciato altresì scambi fruttuosi anche con le istituzioni accademiche secolari. Chiunque abbia frequentato il mondo universitario sa bene quale sia la rilevanza straordinaria che le “scuole” hanno giocato nella crescita e nello scambio delle idee: senza di esse non sarebbe neppure concepibile lo sviluppo del dibattito e della ricerca.

E qui emerge una seconda, cruciale considerazione: quella per la quale il sistema di alta formazione pontificia non vive più, da tempo, su un’isola remota. Esso è entrato, agli esordi del millennio, nell’architettura disegnata dal “Bologna process”, coinvolgendosi e contaminandosi così con l’organizzazione dell’impianto universitario degli Stati europei. Ha mutuato e condiviso idealità e progettualità scientifiche ed educative, nonché modalità di offerte formative e didattiche, adattandosi, senza smarrire un’inconfondibile specificità, nell’elaborazione dei piani di studio e nell’attribuzione di titoli e diplomi.

Qualsiasi futura riforma dell’ordinamento universitario pontificio non potrà, quindi, non tenerne conto, dal momento che la sua razionalizzazione dovrà anzitutto rispettare quei parametri di libertà, autonomia e pluralismo di insegnamento e di accesso ritenuti assolutamente imprescindibili per poter far parte della comunità delle università. E all’occhio vigile, allenato da una lunga pratica accademica ma altresì dalla consuetudine con il linguaggio curiale, non sfugge come questo rischio d’impoverimento non appaia del tutto scongiurato nelle avvisaglie che le parole del romano pontefice potrebbero sottendere.

Così, l’urgenza prospettata dal papa di instaurare “una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche” potrebbe essere foriera di una forma di accentuato accentramento del sistema della formazione, riconducendolo, almeno formalmente, ad una dipendenza troppo stretta dall’autorità apicale: violandone, per questa via, l’intangibile ed essenziale autonomia.

Del pari, l’auspicio di un “rinnovamento sapiente e coraggioso” degli studi ecclesiastici potrebbe preludere a controlli o sindacati troppo invasivi, che possano disinnescare il dissenso (che, nel rispetto del “depositum fidei”, è sempre stato uno sprone benefico) e soffocare la discussione, riducendola al regolo di una rigida ed anchilosata omogeneità: proprio quella “dottrina monolitica” rigettata da Francesco in “Evangelii gaudium”, n. 40.

Per contro, con sua iniziativa diretta lo scorso 15 agosto, papa Jorge Mario Bergoglio ha istituito – al di là di ogni impellenza di coordinazione – l’”Università del Senso”, un “ente formativo universitario civile con sede nello Stato della Città del Vaticano” volto “a rispondere alla crisi globale del senso”. Un’università destinata “a nutrire l’anima” e per la quale i nomi del gruppo dirigente dei docenti appaiono già noti prima ancora di conoscere gli statuti epistemici e il programma degli insegnamenti nei quali questo nuovo polo accademico verrà strutturato.

Eppure, seguendo il principio gnoseologico di Sant’Anselmo della “fides quaerens intellectum”, ci risulta difficile comprendere che cosa significhi e che cosa debba fare un’università volta “a nutrire l’anima”. Già il recupero del buon senso comune ci sembrerebbe un utile viatico per la riforma del sistema accademico pontificio.

Quel buon senso e quel riconoscimento reciproco che ci hanno spinto a scrivere queste poche righe: nella sincera preoccupazione e nella sollecitudine per quell’intensa dialettica e quella fattiva collaborazione che non può cessare tra università statali e pontificie, proprio nel loro policromo ventaglio. Una cooperazione con colleghi di questi atenei confessionali di cui noi, docenti dell’”Alma Mater Studiorum” bolognese, la più antica tra le università, testimoniamo la proficuità e che non vogliamo sia pregiudicata da un’uniformazione imprudente: per poter continuare a costruire quei ponti di dialogo che da sempre sostengono il procedere dell’umano ricercare.

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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
Questo è l’attuale indirizzo del suo blog Settimo Cielo, con gli ultimi articoli in lingua italiana: settimocielo.be
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