Dal trionfo al disastro. I cinque punti di caduta dei nuovi movimenti religiosi

C’erano una vol­ta i nuo­vi movi­men­ti reli­gio­si. Sì, quel­li trion­fal­men­te con­vo­ca­ti a piaz­za San Pietro il gior­no di Pentecoste del 1998 da Giovanni Paolo II, che vede­va in essi le “espres­sio­ni prov­vi­den­zia­li del­la nuo­va pri­ma­ve­ra susci­ta­ta dal­lo Spirito con il Concilio Vaticano II”. Tutti al ser­vi­zio diret­to del papa e libe­ri dagli impac­ci del­le dio­ce­si, per una rifio­ri­tu­ra del­la Chiesa nel mon­do. Opus Dei, foco­la­ri­ni, Legionari di Cristo, Comunione e libe­ra­zio­ne, Comunità di Sant’Egidio, cari­sma­ti­ci, neo­ca­te­cu­me­na­li, e tan­ti altri anco­ra, di tan­ti tipi.

Ma oggi alla pri­ma­ve­ra è segui­ta una sta­gio­ne buia e tem­pe­sto­sa. Al trion­fo, il disa­stro. Crolli nume­ri­ci, disfa­ci­men­ti, scan­da­li intol­le­ra­bi­li, fon­da­to­ri tan­to ido­la­tra­ti quan­to poi venu­ti allo sco­per­to come abu­sa­to­ri in spi­ri­to e cor­po dei loro adep­ti, innu­me­re­vo­li vit­ti­me tra­di­te nel­la loro fidu­cia.

Certo, i segna­li d’allarme non sono man­ca­ti. Nel 2004 “La Civiltà Cattolica”, la rivi­sta dei gesui­ti di Roma pub­bli­ca­ta con l’imprimatur del­le mas­si­me auto­ri­tà vati­ca­ne, uscì con un edi­to­ria­le del suo scrit­to­re di pun­ta, Giuseppe De Rosa, che met­te­va in guar­dia dai “peri­co­li” indi­vi­dua­ti in tan­ti movi­men­ti.

E sem­pre in quel 2004 la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le ita­lia­na gui­da­ta dal car­di­na­le Camillo Ruini affi­dò a un socio­lo­go di valo­re, Luca Diotallevi, l’analisi cri­ti­ca del ruo­lo svol­to dai movi­men­ti reli­gio­si a dan­no del­le dio­ce­si, del­le par­roc­chie e del­le strut­tu­re asso­cia­ti­ve “clas­si­che” come l’Azione cat­to­li­ca.

Ma la cata­stro­fe ha fat­to il suo cor­so e oggi qua­si tut­te le ana­li­si pub­bli­ca­te in mate­ria con­cor­da­no nell’imputare anche ai pasto­ri del­la Chiesa una respon­sa­bi­li­tà nell’accaduto, per i loro silen­zi e la loro igna­via.

Che fare? Tra le rispo­ste alla sfi­da ce n’è una che vale d’essere segna­la­ta, ad ope­ra di un vesco­vo e teo­lo­go ita­lia­no di pri­mo pia­no, pub­bli­ca­ta sul­la rivi­sta “Il Regno” col tito­lo: “Nuovi movi­men­ti reli­gio­si: i rischi di una deri­va set­ta­ria”.

L’autore è Franco Giulio Brambilla, 74 anni, dal 2011 vesco­vo di Novara e dal 2015 al 2021 vice­pre­si­den­te del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le ita­lia­na, ma in pre­ce­den­za pro­fes­so­re di cri­sto­lo­gia e antro­po­lo­gia teo­lo­gi­ca a Milano, alla facol­tà teo­lo­gi­ca che ebbe tra i suoi mae­stri Carlo Colombo, il teo­lo­go di Paolo VI duran­te il Concilio, Giuseppe Colombo e Giacomo Biffi, poi arci­ve­sco­vo di Bologna e car­di­na­le.

Brambilla cita come esem­pla­ri tre libri usci­ti di recen­te sull’argomento in Francia e in Italia, di Céline Hoyeau, di Pascal Ide e di Giorgio Ronzoni, e sul­la base del­la loro ampia docu­men­ta­zio­ne inten­de for­ni­re “cin­que cri­te­ri” da uti­liz­za­re per una valu­ta­zio­ne cri­ti­ca dei nuo­vi movi­men­ti reli­gio­si e dei loro lea­der.

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Il pri­mo dei cin­que cri­te­ri è “il rap­por­to tra cari­sma e isti­tu­zio­ne”, con un’attenzione par­ti­co­la­re al ruo­lo del­le lea­der­ship dei movi­men­ti.

Brambilla ritie­ne che sia sta­to un erro­re “met­te­re l’elemento cari­sma­ti­co a solo van­tag­gio dei movi­men­ti e l’elemento isti­tu­zio­na­le solo a cari­co del­le for­me tra­di­zio­na­li di comu­ni­tà”, col risul­ta­to di asse­con­da­re la rapi­da tra­sfor­ma­zio­ne dei movi­men­ti “in espe­rien­ze tota­liz­zan­ti di Chiesa, con visto­si trat­ti di ‘Chiesa paral­le­la’”.

Ma soprat­tut­to richia­ma l’attenzione su chi è a capo di cia­scun movi­men­to, che spes­so “da ‘sedu­cen­te’ cor­re il serio rischio di diven­ta­re ‘sedut­ti­vo’ e per­si­no ‘sedut­to­re’”. E spie­ga: “Il suc­ces­so talo­ra cla­mo­ro­so del nume­ro del­le voca­zio­ni, il cre­sce­re dei sim­pa­tiz­zan­ti, accom­pa­gna­to dal­la for­za­tu­ra dell’argomento dei ‘frut­ti buo­ni’, costrui­sco­no intor­no al lea­der un’aura sacra­le che ine­vi­ta­bil­men­te lo tra­sfor­ma in capo sedut­ti­vo”.

In mol­ti casi il lea­der “ha un ego iper­tro­fi­co”, nar­ci­si­sta, “ma pre­sen­ta un io assai fra­gi­le”. Ed è que­sto “il buco nero in cui il fon­da­to­re di comu­ni­tà può pre­ci­pi­ta­re con l’abuso spi­ri­tua­le e di auto­ri­tà”, con effet­ti non di raro “per­ver­si”.

Per il con­te­ni­men­to di que­sto rischio – fa nota­re Brambilla – “due rime­di sono sta­ti pro­po­sti in anni recen­tis­si­mi: la dura­ta in cari­ca a tem­po dei fon­da­to­ri e capi (non più di due man­da­ti quin­quen­na­li di segui­to); e la rigo­ro­sa distin­zio­ne di foro inter­no e foro ester­no”.

Ma a que­sti rime­di – scri­ve – ne andreb­be aggiun­to un ter­zo, già nel momen­to fon­da­ti­vo di un movi­men­to e non solo nel pas­sag­gio alla secon­da gene­ra­zio­ne: “l’approvazione eccle­sia­sti­ca degli Statuti, pre­stan­do atten­zio­ne alla sud­di­vi­sio­ne dei pote­ri e del­le com­pe­ten­ze” e all’articolazione dei pro­ces­si deci­sio­na­li.

Questo avve­ni­va per gli anti­chi ordi­ni reli­gio­si, ma qua­si mai acca­de per i movi­men­ti odier­ni, che riven­di­ca­no “l’equivalenza di cari­sma­ti­co e spon­ta­nei­sta”, con gli effet­ti disa­stro­si che si cono­sco­no.

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Il secon­do cri­te­rio di veri­fi­ca riguar­da le paro­le e i gesti che iden­ti­fi­ca­no l’appartenenza a una data comu­ni­tà.

In mol­ti casi per iden­ti­fi­ca­re le appar­te­nen­ze basta osser­va­re come uno par­la, veste, can­ta, agi­sce. Ma ancor più pesa­no le moda­li­tà del­le pra­ti­che devo­zio­na­li e litur­gi­che. “Se ne sono viste di tut­ti i colo­ri”, scri­ve Brambilla. Preghiere cari­sma­ti­che, riti eso­te­ri­ci, pra­ti­che di gua­ri­gio­ne, veglie gui­da­te dal guru, biz­zar­re postu­re cor­po­ree… “Non c’è chi non veda come que­sta dirom­pen­te ambi­va­len­za del­le pra­ti­che devo­zio­na­li e dei riti sacra­men­ta­li, sem­pre più pri­va­tiz­za­ti e mani­po­la­bi­li, abbia rot­to la bel­la e sobria gram­ma­ti­ca del­la pre­ghie­ra litur­gi­ca cat­to­li­ca e abbia potu­to sal­dar­si con l’azione mani­po­la­tri­ce di lea­der sedut­ti­vi e di comu­ni­tà cosid­det­te crea­ti­ve, pre­stan­do il fian­co a una vera decom­po­si­zio­ne del­la pra­ti­ca cri­stia­na”.

La que­stio­ne chia­ve è quel­la del­la mes­sa dome­ni­ca­le. Si doman­da Brambilla: “Se siste­ma­ti­ca­men­te la mes­sa festi­va vie­ne cele­bra­ta e vis­su­ta solo con il pro­prio grup­po o movi­men­to, come si può pen­sa­re nel lun­go perio­do di appar­te­ne­re anco­ra alla Chiesa cat­to­li­ca?”. È il caso, ad esem­pio, del­le comu­ni­tà neo­ca­te­cu­me­na­li, che oltre tut­to han­no intro­dot­to nel­le loro mes­se del­le varian­ti che le con­fi­gu­ra­no come con un rito a sé, mol­to più distan­te dall’attuale rito roma­no di quan­to lo sia­no le mes­se pre­con­ci­lia­ri.

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Il ter­zo cri­te­rio di giu­di­zio è indi­vi­dua­to da Brambilla nel mec­ca­ni­smo di reclu­ta­men­to dei mem­bri.

Le tec­ni­che ricor­ren­ti par­to­no da un pri­mo approc­cio del reclu­ta­to­re. Proseguono con l’invito a un even­to spe­cia­le in un luo­go attraen­te. Lì il poten­zia­le adep­to si vede atte­so e ama­to. Dopo di che lo si invi­ta di nuo­vo e si allac­cia con lui un lega­me dure­vo­le.

Ma c’è di più. “La feno­me­no­lo­gia del­la deri­va set­ta­ria, del­la mani­po­la­zio­ne del­la vit­ti­ma e dell’abuso spi­ri­tua­le non basta, se non s’arriva a indi­ca­re la sua radi­ce più pro­fon­da, che è il mec­ca­ni­smo di ele­zio­ne e di esclu­sio­ne”.

Chi si oppo­ne o mani­fe­sta dub­bi, doman­de, spi­ri­to cri­ti­co “vie­ne pri­ma sot­to­po­sto alla minac­cia e poi allo stil­li­ci­dio di paro­le e gesti d’emarginazione e ripro­va­zio­ne”. È come se egli rifiu­tas­se un per­cor­so di vita comu­ni­ta­ria al qua­le è ine­so­ra­bil­men­te “pre­de­sti­na­to”. Con la con­se­guen­te dan­na­zio­ne del repro­bo. Un mec­ca­ni­smo per­ver­so nel qua­le all’agire dei capi si som­ma quel­lo del­la comu­ni­tà, ai vari livel­li.

È il mec­ca­ni­smo che pre­sie­de anche alla squa­li­fi­ca mora­le, alla mes­sa al ban­do, di chiun­que abban­do­ni la comu­ni­tà.

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Quarto cri­te­rio di valu­ta­zio­ne: la visio­ne dot­tri­na­le di cia­scun movi­men­to.

Non è faci­le coglie­re tale visio­ne, fa nota­re Brambilla, per­ché spes­so il lea­der “si nascon­de die­tro una pre­sun­ta veri­tà più alta e inac­ces­si­bi­le, dai trat­ti eso­te­ri­ci”.

È una reti­cen­za fat­ta vale­re “col pre­te­sto di custo­di­re, con una sor­ta di disci­pli­na dell’arcano, uno sta­dio spi­ri­tua­le più avan­za­to”, talo­ra chia­ma­to a giu­sti­fi­ca­re sia com­por­ta­men­ti ses­sua­li abnor­mi, sia sti­li di vita lus­suo­si. Con in più “una man­ca­ta sepa­ra­zio­ne tra foro inter­no e foro ester­no”, che al rispet­to del­la liber­tà sosti­tui­sce “uno sti­le di coman­do inva­si­vo e mani­po­la­to­re”.

Quanto poi al giu­di­zio sul mon­do e sul­la Chiesa espres­so da cia­scun movi­men­to, Brambilla rico­no­sce che effet­ti­va­men­te c’è una distin­zio­ne tra movi­men­ti di carat­te­re più esca­to­lo­gi­co e spi­ri­tua­li­sti­co, che inter­pre­ta­no il mon­do come per­du­to, dal qua­le sepa­rar­si, e movi­men­ti inve­ce for­te­men­te incar­na­zio­ni­sti, che vedo­no il mon­do come l’arena pro­pi­zia per una “recon­qui­sta” cri­stia­na.

Egli pen­sa però, e teme, “che sot­to entram­be le visio­ni vi sia un comu­ne orien­ta­men­to ‘apo­ca­lit­ti­co’, che dise­gna il rap­por­to tra inter­no ed ester­no del movi­men­to con un giu­di­zio sto­ri­co sul mon­do (e tal­vol­ta anche sul­la Chiesa) che ha biso­gno di esse­re sal­va­to dal­la sua deri­va cul­tu­ra­le e mora­le”.

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Quinto e ulti­mo cri­te­rio di giu­di­zio: la pro­po­sta mora­le di cui cia­scun movi­men­to si fa por­ta­to­re.

È for­se, que­sto, il cri­te­rio “più eva­ne­scen­te”, scri­ve Brambilla, “e tut­ta­via è ine­vi­ta­bi­le osser­va­re che anche i movi­men­ti han­no una pro­po­sta di mora­le per­so­na­le e di impe­gno socia­le”.

E si trat­ta di pro­po­ste che rical­ca­no gli orien­ta­men­ti già deli­nea­ti a livel­lo di dot­tri­na. “Se lo sfon­do è quel­lo apo­ca­lit­ti­co che inter­pre­ta il tem­po pre­sen­te come cri­si di siste­ma, temo che l’orientamento mora­le pos­sa cade­re in for­me idea­liz­zan­ti, sia alter­na­ti­ve, esca­to­lo­gi­che, sia com­bat­ti­ve, incar­na­zio­ni­ste, con tut­te le sfu­ma­tu­re inter­me­die, sen­za fare l’esperienza del­la real­tà e del limi­te che pos­sia­mo e dob­bia­mo con­di­vi­de­re con gli uomi­ni d’oggi”. Questo per­ché “incar­na­zio­ne e tra­scen­den­za sono due poli tra cui non si deve sce­glie­re, ma con cui si può vive­re un’etica del­la con­di­vi­sio­ne e del­la testi­mo­nian­za. Senza mai disgiun­ger­le”.

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Scrive Brambilla in con­clu­sio­ne del suo sag­gio: “Il pre­sen­te testo può sem­bra­re ama­ro e dram­ma­ti­co, ma non è nul­la – biso­gna rico­no­scer­lo – a con­fron­to con le deri­ve devian­ti e gli abu­si spi­ri­tua­li che han­no mes­so a repen­ta­glio in que­sti anni la nostra fede e la fidu­cia di mol­ti. Ho scrit­to que­ste note non tan­to per denun­cia­re la deri­va set­ta­ria di grup­pi e movi­men­ti. Questo vale anche per ogni altra con­fi­gu­ra­zio­ne aggre­ga­ti­va, com­pre­se asso­cia­zio­ni, par­roc­chie e ora­to­ri. Il timo­re del­la deri­va è abba­stan­za evi­den­te e pre­oc­cu­pa tut­ti, ma l’ho fat­to per rico­no­scer­la e pre­ve­nir­la. Se sarà sta­to come il col­li­rio per vede­re meglio, il bistu­ri per toglie­re qual­che asces­so e il leni­men­to per curar­la e pre­ve­nir­la, ne sarò con­ten­to”.

E subi­to dopo cita le paro­le pre­veg­gen­ti, sem­pre sui rischi di que­sta deri­va, che l’allora arci­ve­sco­vo di Milano car­di­na­le Carlo Maria Martini pro­nun­ciò nell’aula del Sinodo dei vesco­vi già nel lon­ta­no 1987. E chio­sa: “Dopo tan­ti anni sia­mo anco­ra qui con la spe­ran­za di non rinun­cia­re a un discer­ni­men­to, neces­sa­rio e salu­ta­re per tut­ta la Chiesa che amia­mo”.

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Sandro Magister è fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
Questo è l’attuale indi­riz­zo del suo blog Settimo Cielo, con gli ulti­mi arti­co­li in lin­gua ita­lia­na: settimocielo.be
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