Venerdì 20 settembre i movimenti popolari terranno in Vaticano un simposio “per celebrare il decimo anniversario del loro primo incontro con papa Francesco”.
Curiosamente però, del papa soltanto “è previsto un messaggio”, si legge nell’annuncio diffuso dal dicastero per lo sviluppo umano integrale presieduto dal cardinale e gesuita Michael Czerny. Né compare traccia del simposio negli eventi di cui si occupa la sala stampa della Santa Sede.
Questo declassamento è sorprendente, se confrontato con la smisurata enfasi data da Jorge Mario Bergoglio ai suoi incontri con i movimenti popolari, nei primi anni del suo pontificato.
Il primo di questi incontri fu appunto tenuto a Roma dieci anni fa, nell’ottobre del 2014. Il secondo in Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra, nel luglio del 2015. Il terzo di nuovo a Roma, nel novembre del 2016.
In tutti e tre Francesco infiammò la platea con discorsi fiume, fino a una trentina di pagine ciascuno, tracciando una sorta di suo manifesto politico. Ad applaudirlo, nelle prime due adunate, c’era in prima fila il presidente “cocalero” della Bolivia Evo Morales, criticatissimo dai vescovi del suo paese ma in esibita confidenza col papa.
Quelli che il papa ha chiamato “movimenti popolari” non erano una sua creazione, gli preesistevano. Erano in parte eredi delle memorabili adunate anticapitaliste e no-global dei primi anni Duemila, a Seattle e Porto Alegre. Ai quali egli associava “cartoneros”, “cocaleros”, venditori ambulanti, giostrai, braccianti senza terra, tutti i reietti ai quali egli affidava il futuro dell’umanità grazie a una loro auspicata ascesa al potere “che trascenda i procedimenti logici della democrazia formale” (proprio così, sue parole testuali). La parola d’ordine lanciata dal papa era la triade “terra, tetto, lavoro”. Per tutti e subito.
Poi, però, qualcosa cominciò a non funzionare, agli occhi di Francesco. Per attriti soprattutto con un suo connazionale argentino, Juan Grabois (nella foto), che era anche il principale organizzatore delle adunate e ne aveva messa in moto la macchina fin dai primi mesi del pontificato, con un seminario in Vaticano sulla “emergenza esclusi” tenuto il 5 dicembre 2013 con alcuni dei futuri primattori degli incontri con i movimenti popolari.
Nel simposio del prossimo 20 settembre in Vaticano Grabois sarà di nuovo uno dei protagonisti più in vista, stando all’annuncio del dicastero per lo sviluppo umano integrale, assieme al brasiliano João Pedro Stédile, fondatore del Movimento dos Trabalhadores Rurales Sem Terra, entrambi tuttora alla testa dell’organizzazione dei movimenti popolari. Ma è proprio la loro presenza, soprattutto del primo, che induce Francesco a tenersi lontano.
Grabois, 41 anni, figlio di uno storico dirigente peronista, era vicino a Bergoglio dal 2005, cioè da quando l’allora arcivescovo di Buenos Aires era alla testa della conferenza episcopale. Divenuto papa, Francesco lo nominò consultore del pontificio consiglio della giustizia e della pace, oggi assorbito nel dicastero per lo sviluppo umano integrale. E inizialmente apprezzò molto la capacità di Grabois di organizzare le grandi adunate con i movimenti popolari, perdonandogli la sua attività di “lider piquetero” tra i più battaglieri, con blocchi stradali, picchetti alle fabbriche, occupazioni di case.
Dopo il terzo incontro, però, quello del 2016, qualcosa tra i due cominciò a guastarsi.
Per l’ottobre del 2017 era previsto un quarto incontro a Caracas, ma fu cancellato a motivo del disastro in cui era precipitato il Venezuela. Prese corpo, invece, l’organizzazione di incontri su scala regionale.
A giudizio di Grabois tali incontri avrebbero fatto da virtuoso contraltare ai World Social Forum che si tenevano ogni anno a seguito del primo di Porto Alegre, “decaduti in una sequenza di rituali e di attività turistiche per militanti”.
Ma in Vaticano i pareri erano opposti. Stando a quanto riferito da Vittorio Agnoletto, membro del consiglio internazionale del World Social Forum e consultato dalla Santa Sede come esperto in materia, si temeva che “una strutturazione per reti territoriali dei movimenti popolari desse vita a una serie di ‘scatole vuote’ in concorrenza con i World Social Forum”.
Sta di fatto che al primo degli incontri regionali dei movimenti popolari, tenuto a Modesto, in California, dal 16 al 19 gennaio 2017, papa Francesco lesse in videoconferenza un discorso in linea con i precedenti.
Ma al secondo incontro regionale, tenuto a Cochabamba, in Bolivia, il 20-21 giugno, il papa non si fece vivo.
E sopratutto Francesco si infuriò quando, nel gennaio del 2018, alla vigilia del suo viaggio nel vicino Cile, Grabois si produsse in un pesante attacco verbale al presidente argentino Mauricio Macri.
Il guaio era che i media argentini, nel riportare gli insulti, dicevano in coro che Grabois era grande amico del papa e che il papa la pensava come lui. Oltre tutto, Grabois era in partenza con cinquecento militanti dei movimenti popolari per assistere in prima fila a una messa di Francesco in Cile, contro il “genocidio” delle popolazioni indigene Mapuche, da decenni in conflitto con le autorità di Santiago.
A tutto ciò la conferenza episcopale argentina si sentì in dovere di replicare con una dura dichiarazione di biasimo contro chi usurpa la sua amicizia con il papa per far credere che la pensi allo stesso modo. Senza farne il nome, ma con allusione trasparente:
« Accompagnare i movimenti popolari nella loro lotta per la terra, il tetto e il lavoro è un compito che la Chiesa ha sempre fatto e che il papa stesso promuove apertamente, invitandoci a prestare le nostre voci alle cause dei più deboli e dei più esclusi. Ma ciò non implica in nessuna maniera che si attribuiscano a lui le proprie posizioni ed azioni, siano esse corrette od erronee ».
Ma neppure questa severa reprimenda acquietò Francesco. Che nel 2020 tornò sì a rivolgersi ai movimenti popolari, ma in una forma tutta sua personale, con una breve lettera aperta che non faceva il minimo cenno agli organizzatori dei precedenti incontri né tanto meno a una loro ripresa dopo la pandemia del Covid.
La lettera fu datata e pubblicata il 12 aprile, domenica di Pasqua, senza nessun richiamo a Gesù risorto e senza alcun augurio per la festività. In essa il papa invocava per tutti una “retribuzione universale di base” e arditamente si complimentava con quelle donne “che moltiplicano il cibo nelle mense popolari cucinando con due cipolle e un pacchetto di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini”.
E pochi mesi dopo, in una lettera autografa del 1 dicembre 2020 inviata a un gruppo di suoi ex alunni argentini, resa pubblica integralmente dai destinatari, il papa svuotò definitivamente il sacco contro il suo non più amico “Dr. Grabois”:
“Il Dr. Grabois, da anni, è membro del dicastero dello sviluppo umano integrale. Riguardo a ciò che dicono che lui dica (che è mio amico, che è in contatto con me, ecc.) vi chiedo un favore, che per me è importante. Ho bisogno di una copia delle dichiarazioni in cui egli dice queste cose. Mi sarà molto utile riceverle”.
Questo perché “in generale lì [in Argentina] non si sa che cosa io dico giorno dopo giorno. Si sa quello che dicono che io dico, e questo grazie ai media nei quali gioca molto il fenomeno del riferito, per esempio mi ha detto Tizio che Caio ha detto questo… e così con questo metodo di comunicazione, nel quale ognuno aggiunge o toglie qualcosa, si arriva a risultati inverosimili, come per esempio il racconto di Cappuccetto Rosso che finisce a tavola con Cappuccetto e la nonna che mangiano uno squisito spezzatino cucinato con la carne del lupo. Così succede con il riferito”.
Anche da questo squarcio sui suoi umori personali si capisce perché papa Francesco dia una quantità smisurata di interviste. Perché vuole che si ascolti ogni volta direttamente da lui quello che dice, senza intermediari.
Quanto alle sue innumerevoli lettere autografe, se raccolte e pubblicate in futuro, saranno una ghiotta miniera per gli storici di questo pontificato.
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POST SCRIPTUM – Il testo integrale del discorso del 20 settembre 2024 di papa Francesco ai movimenti popolari, in spagnolo e in italiano.
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Sandro Magister è stato firma storica del settimanale L’Espresso.
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