Un inedito di Benedetto XVI. Su una questione capitale che l’imminente sinodo nemmeno sfiora

(s.m.) Il testo inedito riprodotto più sotto è la parte finale di uno degli scritti autografi che Joseph Ratzinger / Benedetto XVI ha voluto fossero pubblicati solo dopo la sua morte. Lo scrisse tra il Natale e l’Epifania dell’inverno 2019-2020, e lo consegnò il 9 gennaio a don Livio Melina, curatore assieme a José Granados del volume “La verità dell’amore. Tracce per un cammino”, in libreria in questi giorni per i tipi di Cantagalli, che per la prima volta lo pubblica integralmente.

Il titolo del volume è anche il titolo di “Veritas Amoris Project”, un piano di ricerca teologica e pastorale ideato e fondato nel 2019 dai due studiosi citati, il primo già preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia ed entrambi docenti di teologia dogmatica e morale nello stesso Istituto fino a che questo fu decapitato, proprio nel 2019, con la cacciata di studiosi tra più eminenti e il mutamento delle sue finalità, per volontà di papa Francesco e per mano del Gran Cancelliere Vincenzo Paglia.

A quello sconquasso si opposero invano numerosi docenti, in parte gli stessi, di varie nazioni, che ora collaborano al “Veritas Amoris Project” e firmano le dodici tesi che lo sviluppano, in altrettanti capitoli del volume.

Lo stesso Benedetto XVI “considerava quel provvedimento ingiusto e inaccettabile e cercò varie vie per arrivare a un ripensamento da parte dei responsabili”, scrive Melina nell’introduzione al testo inedito del papa scomparso. Il quale “accolse invece con grande entusiasmo l’idea di guardare avanti e di intraprendere nuove iniziative di ricerca e di formazione nell’ambito del progetto ‘Veritas amoris’ che andava maturando e prendendo forma nel nostro gruppo di amici e colleghi. ‘Ein neuer Anfang’: un nuovo inizio!”.

Dall’agosto del 2019 al gennaio del 2020 per sette volte Benedetto XVI accolse Melina nella sua residenza nei giardini vaticani (vedi foto), discutendo con lui proprio del progetto in fase di avvio.

La realtà da cui il progetto prende le mosse è che l’attuale crisi della fede cristiana è in buona misura uno smarrimento della verità di quell’amore supremo che Dio ha rivelato nell’offrire il Figlio fatto uomo, e quindi anche dell’amore tra gli esseri umani. Il dramma di oggi è che l’amore ha solo la fragilissima verità che ciascuno voglia attribuirvi.

Con tutto ciò che ne consegue e che Benedetto XVI aveva messo in evidenza più volte, ad esempio nell’ultimo suo grande discorso prenatalizio alla curia romana del 2012, sull’odierno “attentato all’autentica forma della famiglia”. Chiosa Melina: “Se si perde l’esperienza dell’essere figlio e figlia, fratello e sorella, sposo e sposa, padre e madre, sarà distrutta anche la base naturale del linguaggio per parlare di Dio, che si è rivelato come sposo di Israele, che invochiamo come nostro Padre, che ci ha mandato Gesù come suo Figlio e nostro fratello e che ci ha dato la Chiesa come madre”.

Quanto “il rapporto tra verità e amore fosse centrale nell’intero insegnamento di Benedetto” lo mette in luce anche l’arcivescovo Georg Gänswein, già suo segretario, in una prefazione al volume.

Ma lasciamo la parola al papa scomparso. Questa che segue è la parte finale delle dodici pagine manoscritte del suo contributo al “Veritas Amoris Project”.

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L’immagine cristiana dell’uomo

di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI

L’atmosfera che dopo il Vaticano II si diffuse ampiamente nella cristianità cattolica fu inizialmente concepita in modo unilaterale come demolizione dei muri, come “abbattimento dei bastioni”, cosicché in alcuni ambienti si temette addirittura la fine del cattolicesimo, ovvero la si attese con gioia.

La ferma determinazione di Paolo VI e l’altrettanto chiara, ma gioiosamente aperta, determinazione di Giovanni Paolo II poterono nuovamente assicurare alla Chiesa – umanamente parlando – il suo proprio spazio nella storia successiva. Quando Giovanni Paolo II, che proveniva da un Paese dominato dal marxismo, venne eletto papa, vi furono certamente ambienti che credettero che un papa che proveniva da un Paese socialista dovesse necessariamente essere un papa socialista e perciò che avrebbe portato la conciliazione nel mondo come “reductio ad unum” di cristianesimo e marxismo. Tutta la stoltezza di questa posizione divenne peraltro ben presto evidente non appena si vide che proprio un papa che proveniva da un mondo socialista conosceva perfettamente l’ingiustizia di esso e potè così contribuire alla svolta sorprendente che si ebbe nel 1989 con la fine del governo marxista in Russia.

Tuttavia diviene sempre più evidente che il tramonto dei regimi marxisti è lungi dall’aver significato la vittoria spirituale del cristianesimo. La mondanità radicale si rivela invece sempre più essere l’autentica visione dominante che sottrae vieppiù al cristianesimo lo spazio per vivere.

Sin dall’inizio la modernità comincia con l’appello alla libertà dell’uomo: sin dall’accentuazione da parte di Lutero della libertà del cristiano e sin dall’umanesimo di Erasmo da Rotterdam. Ma solo nel momento storico sconvolto da due guerre mondiali, con il marxismo e il liberalismo che andavano drammaticamente estremizzandosi, si misero in moto due nuovi movimenti che condussero l’idea di libertà a un radicalismo prima di allora inimmaginabile.

Infatti, ormai si nega che l’uomo, quale essere libero, sia in qualche modo legato ad una natura che determini lo spazio della sua libertà. L’uomo ormai non ha più una natura ma “fa” sé stesso. Non esiste più una natura dell’uomo: è egli stesso a decidere cosa egli sia, maschio o femmina. È l’uomo stesso a produrre l’uomo e a decidere così sul destino di un essere che non proviene più dalle mani di un Dio creatore, ma dal laboratorio delle invenzioni umane. L’abolizione del Creatore come abolizione dell’uomo diviene dunque l’autentica minaccia per la fede. Questo è il grande compito che oggi si presenta alla teologia. Essa lo potrà assolvere solo se l’esempio di vita dei cristiani sarà più forte della potenza delle negazioni che ci circondano e che promettono una falsa libertà.

La consapevolezza dell’impossibilità di risolvere a livello puramente teorico un problema di quest’ordine di grandezza non ci dispensa certo dal cercare di prospettarne una soluzione anche a livello di pensiero.

Natura e libertà sembrano in un primo momento contrapporsi in modo inconciliabile: e tuttavia la natura dell’uomo è pensata, cioè è creazione, e come tale non è semplicemente realtà priva di spirito, ma porta essa stessa il “Logos” in sé. I Padri – in particolare Atanasio di Alessandria – hanno concepito la creazione come coesistenza di “sapientia” increata e “sapientia” creata. Qui tocchiamo il mistero di Gesù Cristo, che unisce in sé sapienza creata e increata e, come sapienza incarnata, ci chiama a essere insieme con lui.

In questo modo, però, la natura – che è data all’uomo – diviene una cosa sola con la storia di libertà dell’uomo e porta in sé due momenti fondamentali.

Da un lato ci viene detto che l’essere umano, l’uomo Adamo, ha cominciato male la storia fin dall’inizio, cosicché all’essere uomo, all’umanità di ognuno la storia dà ora in dote un dato originario sbagliato. Il “peccato originale” significa che ogni singola azione è immessa in anticipo su una traccia sbagliata.

A ciò si aggiunge però la figura di Gesù Cristo, del nuovo Adamo, che ha pagato in anticipo il riscatto per tutti noi, ponendo così un nuovo inizio nella storia. Questo significa che la “natura” dell’uomo per un verso è malata, bisognosa di correzione (“spoliata et vulnerata”). Questo la pone in contrasto con lo spirito, con la libertà, come di continuo sperimentiamo. Ma in termini generali essa é anche già redenta. E questo in un duplice senso: perché in generale già é stato fatto abbastanza per tutti i peccati e perché al contempo questa correzione può sempre essere ridonata a ognuno nel sacramento del perdono. Da un lato, la storia dell’uomo è storia di colpe sempre nuove, dall’altro è sempre di nuovo pronta la guarigione. L’uomo è un essere che ha bisogno di guarigione, di perdono. Fa parte del nocciolo dell’immagine cristiana dell’uomo che questo perdono ci sia come realtà e non solamente come un bel sogno. Qui trova la sua giusta collocazione la dottrina dei sacramenti. Diviene chiara la necessità del Battesimo e della Penitenza, dell’Eucaristia e del Sacerdozio, come anche del sacramento del Matrimonio.

A partire da qui può essere allora affrontata concretamente la questione dell’immagine cristiana dell’uomo. È importante innanzitutto la constatazione espressa da san Francesco di Sales: non esiste “la” immagine cristiana dell’uomo, ma molte possibilità e strade nelle quali si presenta l’immagine dell’uomo: da Pietro a Paolo, da Francesco a Tommaso d’Aquino, da fratel Corrado al cardinale Newman, e così via. Dove è innegabilmente presente un certo accento che parla in favore di una predilezione per i “piccoli”.

Naturalmente sarebbe da considerare in questo contesto anche l’interazione fra “Torah” e Discorso della Montagna, sulla quale ho detto qualcosa nel mio libro su Gesù.

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(s.m.) Il libro al quale Ratzinger rimanda in queste ultime due righe è il primo volume della sua trilogia su “Gesù di Nazaret”, pubblicato nella primavera del 2007.

Nel capitolo quarto del libro, dedicato al Discorso della Montagna, Gesù appare come il « nuovo Mosè » che porta a compimento la “Torah”, la legge. Le Beatitudini sono i punti cardine della nuova legge e, al tempo stesso, un autoritratto di Gesù. La legge è lui stesso: « È questo il punto che esige una decisione e perciò è il punto che conduce alla croce e alla risurrezione ».

In questo stesso capitolo, ben quindici pagine sono dedicate a un confronto col rabbino americano Jacob Neusner, il quale in un suo precedente libro del 1993 immaginava di essere stato anche lui tra gli uditori del Discorso della Montagna, ma di non aver creduto in Gesù, restando fedele a quello che egli chiamava “l’Israele eterno”.

Neusner commentò il libro di Benedetto XVI sul “Jerusalem Post” del 29 maggio 2007. In un “ragionare col papa” che resta tuttora uno dei momenti più alti del dialogo tra ebrei e cristiani.

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Sandro Magister è stato firma storica del settimanale L’Espresso.
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